Ho appreso che il ventuno luglio Samantha Cristoforetti effettuerà un’attività extraveicolare assieme a Oleg Artemyev e la notizia mi ha fatto pensare a quante volte ho immaginato cosa si provi in una circostanza simile: avere il mondo sotto di sé e l’ignoto tutt’attorno mentre la stazione spaziale segue la propria orbita come se fosse una giostra. Scrivendone rinnovo in me lo stupore che non manca mai di rapirmi alla sola idea di tutto questo. Cosa incontrano gli occhi laddove persino la più fervida immaginazione dimostra poca autonomia e scarsa gittata? Echeggiano in me le celebri parole con cui Carl Sagan ebbe a definire il pale blue dot, ossia questo granello sospeso in un raggio di fotoni sul quale ancora m’attardo a vivere.
Cosa può competere con la sensazione di guardare tutto da lontano, laddove le domande primigenie prendano nuova forma in ragione della distanza davanti a cui si ripresentino?
Il buio, il silenzio, sé stessi e il nulla in un quieto istante che si protrae nella misura in cui si è capaci di alienarsi innanzi a quanto supera l’individuo e lo avvolge senza reali protezioni: la precarietà della vita che interroga se stessa. Io delineo la questione in termini esistenziali benché sia preminentemente scientifica, ma cosa sono la tecnica e la ricerca se non mezzi attraverso i quali l’umanità si rispecchia nella propria ignoranza, anche al netto di quanto non si avveda o si dimentichi nella sua smemorata violenza? È questo l’ordine dei pensieri che sento destarmisi davanti alle azioni più audaci e alle idee pionieristiche.
Tutte le interviste e le conferenze di astronauti che ho ascoltato, non ultime quelle dell’immensa Samantha Cristoforetti, mi hanno fatto sentire su una comune lunghezza d’onda e non hanno mai mancato di avvincermi. Ho un profondo rispetto e una stima sconfinata verso quei pochi uomini e donne che sono riusciti a diventare la punta di diamante della specie. Su miliardi di individui solo uno sparuto gruppo di persone concorre ancor oggi a spostare l’asticella della conoscenza umana, quindi mi sento fortunato a vivere in un’epoca che mi permette di assistere a ciò, come se ciò riuscisse quasi a giustificare tutto il resto.
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