È il primo di luglio e mi ritrovo a vergare queste stracche parole su pagine che mai ingialliscono. Sento odori e voci provenire dai ristoranti limitrofi, parole che si uniscono e si dividono come rumori mentre arrivano fin dove possono. Non ho idea se io adesso mi trovi nel luogo giusto al momento giusto o se in passato abbia peregrinato in una simile sovrapposizione, però non so neanche se possa dirsi corretta la ripartizione dello spazio e del tempo in termini dicotomici.
A volte percepisco un senso di smarrimento che in qualche modo mi rincuora, in altri momenti invece ho l’impressione che il cielo sia fatto di vetro e stia per andare in frantumi, cosicché sulla Terra finiranno per camminare soltanto i fachiri. Le ipotesi futuribili mi affidano piccole incertezze da adottare, ma io cerco sempre di renderle orfane il prima possibile per la seconda volta e non rivendico nemmeno la paternità dei miei pensieri. Le mie confidenze sono racchiuse nei soliloqui e negli scarabocchi estemporanei come questo. Non ho niente da condividere, nulla da dare e non mi aspetto di ricevere alcunché, perciò ho i conti in pareggio mentre taluni oltre a quello di bilancio mancano anche di altri equilibri. Non sono in grado di fornire ulteriori spiegazioni a quelle che non ho mai dato e di cui invero nessuno mi ha mai chiesto conto, perciò aggiungo silenzi a silenzi e omissioni a omissioni in ragione di una comoda pigrizia. Ripeto a me stesso quello che già so per andare sul sicuro benché nulla di simile esista davvero. Potrei esprimermi a cuore aperto se già non lo facessi, ma potrei anche farne a meno se solo lo volessi. Sono il mio interlocutore privilegiato per ovvi motivi e tale nepotismo non mi turba. Mi chiedo cosa dovrei cambiare di queste righe se volessi imprimere loro un senso esplicito, ma se poi provassi davvero a farlo mi troverei a rispondere a una domanda più difficile: perché?
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