L’inettitudine occidentale, il fallimento della diplomazia e la risibile prospettiva di sanzioni non hanno avuto effetto sulle grandi manovre della Russia, tuttavia credo che le responsabilità del conflitto in corso non siano ascrivibili soltanto a Mosca. Per quanto m’è dato di capire il casus belli è nato… a causa della NATO. Forse devo sostenere il contrario perché vivo in Italia ed è persino nei miei interessi farlo, ma l’onestà intellettuale m’impone di spingere ai limiti le mie capacità di comprensione: per fortuna quanto penso non conta un cazzo.
La Russia esigeva da tempo l’arresto dell’espansione NATO verso Oriente e pare che in tal senso avesse anche ricevuto degli impegni all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, ma poi l’Ucraina nella figura dei suoi alti papaveri ha cominciato ad alimentare ambizioni europeiste e a ventilare la possibilità di aderire all’atlantismo. Alla luce di queste circostanze e dei molteplici avvertimenti lanciati da russi, posso sostenere che l’Occidente a trazione statunitense e il governo ucraino siano del tutto esenti da colpe? Non me la sento, ma può darsi che io sbagli e nel mio ragionamento vi siano delle falle di cui non riesco ad avvedermi.
Ammesso che da un punto di vista formale l’azione russa (o, da cotale prospettiva, la reazione russa) possa avere un fondamento per quanto pretestuoso, basta quest’ultimo a giustificare morte e distruzione? Secondo me no e anche una sola vittima è una catastrofe immane, ma la realtà è più articolata delle descrizioni di cui può essere oggetto giacché al piano umano si sovrappone quello politico e l’irreversibile tragedia dei morti ammazzati finisce per diventare una fredda statistica. A complicare ulteriormente le cose vi è la volontà filorussa di una parte della popolazione ucraina e quindi dividere nettamente il bene dal male diviene opera improba.
Mi chiedo quante vite valga la vocazione europeista di una ex repubblica sovietica e quanto interessi l’entrata del paese nella NATO a qualsiasi babooshka che la mattina si reca a comprare il pane. Quando la cosiddetta democrazia manchi di pragmatismo e si riduca a mera ideologia, riducendosi così a demopazzia, allora finisce per diventare l’oppio dei governanti.
La mia nazione immaginaria uscirebbe dalla NATO qualora ne facesse parte, chiederebbe il cessate il fuoco alla Russia e riconoscerebbe l’errore dell’espansione a est delle forze atlantiche: fantasticare non costa nulla, fare politica estera in un certo modo invece può portare a pagare il più alto dei prezzi.
Ucraina: della forma e della sostanza
Pubblicato giovedì 24 Febbraio 2022 alle 21:51 da FrancescoI meccanismi di difesa di Robert B. White e Robert M. Gilliland
Pubblicato giovedì 17 Febbraio 2022 alle 22:45 da FrancescoHo colto la lettura de “I meccanismi di difesa”, scritto a quattro mani da White e Gilliland, come un’occasione per passare in rassegna e approfondire dei concetti di cui ero già edotto, non ultimo quello di “permanenza oggettuale”, ovvero la capacità della quale i bambini sono sprovvisti fino ai diciotto mesi e la cui mancanza induce essi ad attribuire un’esistenza solo a quanto rientri nel loro campo visivo. Un altro punto capitale in apertura del testo riguarda la distinzione tra paura e angoscia con le loro differenti implicazioni, laddove la prima riguardi un pericolo concreto mentre la seconda abbia ragioni indefinite e una natura endogena.
Dopo queste e altre premesse nelle pagine si susseguono disamine ed esempi per tredici meccanismi di difesa di cui la rimozione figura come quello principale, difatti opera per escludere dalla coscienza un impulso insopportabile e il suo relativo ricordo, ma il materiale escluso (e anche questa nozione compone la parte introduttiva del libro) non ne decreta né ne riduce la portata, bensì lo tiene sotto custodia come se fosse un carcerato; a corredo di ciò aggiungo una celebre citazione di Freud che secondo me in una certa misura rimarca il concetto: “Le emozioni inespresse non moriranno mai. Sono sepolte vive e usciranno più avanti in un modo peggiore”.
Oltre alla rimozione le forme di difesa sono la conversione, l’inibizione, lo spostamento, il diniego, la razionalizzazione, la formazione reattiva, l’annullamento, l’isolamento dell’affetto, la regressione, la proiezione, il rivolgimento contro il Sé e la dissociazione: di queste tredici ve ne sono due (razionalizzazione e diniego) che fanno parte anche delle cosiddette cinque fasi del lutto, ma si tratta di una mia libera associazione più o meno corretta di cui il testo non fa menzione. Non è un volume corposo, consta di appena duecento pagine, ma tanto denso quanto utile per chi sia digiuno di tali nozioni e voglia meglio comprendere sé e gli umanoidi.
All’ombra degli assetti piramidali
Pubblicato venerdì 11 Febbraio 2022 alle 23:19 da FrancescoVorrei risiedere in un’alta ed eburnea torre dalla quale tutto guardare e nulla temere, ma mio malgrado per plurimi versi sono legato a doppio filo al destino di altri umanoidi. Per me la vera e unica indipendenza si traduce in un’autarchia totale e non è la semplice affermazione in un qualsivoglia sistema rispetto a cui il soggetto resta comunque in subordine.
Non sono neanche libero di eludere le radiazioni più o meno ionizzanti che mi attraversano né mi è dato di trovare un’alternativa al ciclo di Krebs, perciò i vincoli, certi evidenti e altri surrettizi, sono innumerevoli e ineludibili. Non posso farci nulla se qualcuno decide di coinvolgermi in una guerra mondiale o se alti papaveri invece della manna fanno cadere dal cielo obblighi e divieti che difettano di pragmatismo. La gerarchia di per sé come concetto non mi disturba né mi repelle, ma sono i criteri con cui sovente è posta in essere e gestita che me ne fanno disprezzare l’applicazione. Con sommo fatalismo accetto che nei ruoli apicali si trovino anche figure mediocri e inadeguate alla gestione di qualunque potere, foss’anche solo quello di tirare lo sciacquone. Forse a volte il problema non verte attorno all’assenza di alternative, bensì al loro grande numero e così in alcuni casi, per puro paradosso, una scelta obbligata può rivelarsi quella più libera. Non ho una parte attiva nelle grandi questioni del presente e quindi sono l’ennesimo spettatore pagante, difatti il dazio delle decisioni altrui ricade anche su di me, ma non ho scelto io di assistere all’ennesima replica della follia umana. Sedersi comodi e crepare.
Tenendo conto di tali premesse mi sembra lecita ogni astensione da sforzi maggiori del dovuto e da ogni slancio che superi troppo un minimo sindacale. Fare il sufficiente è abbastanza e non si tratta solo di un pleonasmo, ma di un vero e proprio manifesto. L’ambizione è una cretina che pensa di saperla lunga, tuttavia ha le gambe corte come le menzogne sulle quali si fonda. Esistere è una tentazione trascurabile.
Insisto a lavorare su di me per compiere un salto di qualità nelle mie prestazioni atletiche, ma i miglioramenti sensibili non si fanno ancora vedere. La sfida è ardua, ma è alla mia portata e proprio per questa ragione mi stimola oltremodo. Continuo a dare tanto alla corsa perché lei ricambia nella stessa misura, ma più che di tempo si tratta di energie psicofisiche. Dall’inizio dell’anno non mi sono allenato molto, però l’ho fatto con un’intensità superiore rispetto al solito ed è grazie a questa che sono riuscito a compensare la riduzione del volume.
Voglio spingermi ai limiti delle mie possibilità genetiche o comunque punto ad arrivarci vicino, ma già la possibilità di poterci provare mi rende entusiasta. Non mi sono mai sentito in forma come negli ultimi quattro mesi, tuttavia sono certo di avere a disposizione ancora parecchie frecce nella mia faretra. Non so come finirà né di cosa mi proverò capace, ma ripeto ancora a me stesso che devo reputarmi fortunato.
In aprile, qualora la situazione generale dovesse migliorare, vorrei fare la mia quarantunesima maratona per cercare di buttare giù il mio record personale, ma i tempi sono stretti e quindi resta tutto in divenire. Devo arrivare agli inizi di marzo con una forma ottimale, dunque le settimane venture saranno importanti affinché io mi faccia un’idea di cosa potermi aspettare e del margine su cui fare affidamento per i prossimi mesi. Certo, sono un mero dilettante, ma posso divertirmi a prendere un po’ sul serio la corsa perché quello dell’atleta è un ruolo di mio gradimento sebbene io abbia anche la duplice veste di allenatore.
Non riesco a spiegarmi da cosa dipenda, ma in me sta cominciando a maturare un insolito ottimismo verso l’avvenire e non sono certo che io ne apprezzi il retrogusto. Non mi riferisco alle fragili fogge delle speranze né a quelle altrettanto precarie e indefinite degli auspici, ma questa mia sensazione verte su prodromi particolari e concreti. Sono abituato a considerare sempre come più probabile l’ipotesi peggiore e non mi creo mai grosse aspettative, perciò mi trovo un po’ spiazzato al cospetto della crescente fiducia verso il futuro. Per precauzione non intendo dare troppo credito a tale moto interiore, inoltre non ricerco una positività che io non senta davvero mia e neanche ho bisogno di incoraggiamenti.
Non di rado gli esseri umani si fanno dominare da astrazioni del tutto slegate dai fatti e poco importa quale sia la loro polarità, difatti un entusiasmo ingiustificato può essere disastroso o fatale quanto un timore parossistico. Io cerco di passare in mezzo a quelle fluttuazioni che talora mi pervadono, anche quando comincino ad assumere sembianze verosimili in un senso o in quello opposto. La lettura della realtà è difficile e si presta a tanti errori di valutazione, ma un po’ di esperienza mi suggerisce che quasi ogni segnale forte vada ridimensionato affinché mi sia dato di ricavare un’idea più chiara della sua vera portata. È come se al momento della loro ricezione certi impulsi venissero amplificati oltremodo e il loro contenuto fosse alterato dalla forma distorta che ne fa da veicolo: l’applicazione di filtri si rende indispensabile.
L’introspezione non cessa mai di rinnovarsi e non presenta aspetti scontati per quanto banale possa sembrarne il loro esame, ma d’altro canto non esiste un protocollo perfetto e io per fortuna devo occuparmi soltanto di quello che risulti efficace per me. Insomma, lascio che passino queste ventate di ottimismo e non le sfrutto neppure per il volo dei miei aquiloni.