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Il fetore d’ogni cosa

La nuova normalità continua a snodarsi in abiette e deformi abitudini di sottomissione, ma d’altronde la misura non è ancora colma giacché serve molto tempo per riempire un barile di cui sia stato raschiato a lungo il fondo. Il pensiero critico è bandito da ogni consesso di rilievo e l’unica funzione che rimane al dubbio è quella di prestarsi a oggetto di scherno. Le apparenze ingannano perché talora affermano una verità che non sa vincere la loro cattiva reputazione, perciò restano vox clamantis in deserto e solo il tardivo ausilio del senno di poi può riabilitarle quando ormai sia troppo tardi.
Il nemico viene creato a tavolino, ma si trova sempre un posto a sedere per ambo le parti ed è proverbiale l’aiuto a crocifiggerlo da parte di chi salti prontamente sul carro del vincitore. Io non credo più neanche alla verità, qualunque essa sia. Per me l’essere umano è degno solo del proprio sdegno, ossia la sua tendenza a riflettere la propria inadeguatezza rispetto alle utopie di cui teorizza nei più consolatori dei deliri. Non vedo cosa aggiungere che non valga poi la pena di rimuovere. Non ho vocazioni eroiche né slanci idealistici, bensì mi limito a constatare una natura morta, olio su tela o petrolio su terra. Forse andrebbero aboliti gli scambi di ossigeno e anidride carbonica così da abbassare le emissioni inquinanti nonché le figure inquietanti. Mi attardo su questo pianeta per l’istinto di conservazione e per il cattivo gusto di vedere un brutto finale.
Il salvatore di turno mangia l’uovo di Colombo a pranzo e cena mentre le sue controfigure ne fanno le veci al cospetto di una claque che viene pagata a cottimo. Ognuno mantiene le proprie convinzioni come se fossero ex mogli alle quali pagare gli alimenti e va bene così benché così invero non vada affatto bene.

Francesco

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