Soffiano venti di guerra, i mercati finanziari crollano, le democrazie si scoprono sempre più fragili e io ho inito il latte perché di solito non lo bevo. La pazienza è la virtù dei forti perché l’attesa sa essere logorante e io per mia fortuna non mi aspetto mai niente, ma al contempo sono in grado di lasciare il passo al tempo senza angustiarmi. Sono tanti i vantaggi di un’introspezione che risulti feconda e si faccia prima ancella di un isolamento prolungato. A mio parere l’epoca corrente renda merito a chiunque abbia svolto un certo lavoro su di sé, ma i frutti di quest’ultimo non deperiscono mai e le attuali circostanze si limitano a mettere in risalto quanto già rifulge di luce propria.
L’agitazione non porta mai nulla di buono, è nociva per la lucidità e non di rado si sprigiona come un immondo fetore da timori infondati. La mente non dice sempre la verità ed è proprio per metterla sotto torchio che io non identifico tutto me stesso con lei. Sono molteplici e infidi gli scherzi che le proprie astrazioni sanno tirare, ma non è così intuitivo prenderne coscienza. Non sono in grado di stabilire cosa sia meglio per altri e quindi non provo ad avventurarmi al di là della mia giurisdizione.
Spesso la natura del desiderio è subdola e vincolante, perciò diffido di quanto mi attragga e lo passo quasi sempre al vaglio del tribunale interiore, ma anche quest’ultimo non è esente da errori e dunque le certezze fanno di rado una fugace comparsa. I pericoli si annidano ovunque, ma io credo che una buona parte siano endogeni. I campanelli d’allarme sono superati in rumore dagli entusiasmi e di norma la loro eco torna a primeggiare nello spettro sonoro quando ormai nessun richiamo serva più.
Non rifuggo dalla risonanza altrui né la evito, ma neanche mi metto nella condizione di ricercarla e quando mi trovo a relazionarmici tento di non proiettarci più del necessario. Secondo me ognuno ha dentro se stesso tutto ciò di cui abbisogna, ma nessuno può spiegarlo a chi non sappia impararlo da solo: di questo avvitamento logico sono fortemente convinto. Il resto? Mancia.
La nuova normalità continua a snodarsi in abiette e deformi abitudini di sottomissione, ma d’altronde la misura non è ancora colma giacché serve molto tempo per riempire un barile di cui sia stato raschiato a lungo il fondo. Il pensiero critico è bandito da ogni consesso di rilievo e l’unica funzione che rimane al dubbio è quella di prestarsi a oggetto di scherno. Le apparenze ingannano perché talora affermano una verità che non sa vincere la loro cattiva reputazione, perciò restano vox clamantis in deserto e solo il tardivo ausilio del senno di poi può riabilitarle quando ormai sia troppo tardi.
Il nemico viene creato a tavolino, ma si trova sempre un posto a sedere per ambo le parti ed è proverbiale l’aiuto a crocifiggerlo da parte di chi salti prontamente sul carro del vincitore. Io non credo più neanche alla verità, qualunque essa sia. Per me l’essere umano è degno solo del proprio sdegno, ossia la sua tendenza a riflettere la propria inadeguatezza rispetto alle utopie di cui teorizza nei più consolatori dei deliri. Non vedo cosa aggiungere che non valga poi la pena di rimuovere. Non ho vocazioni eroiche né slanci idealistici, bensì mi limito a constatare una natura morta, olio su tela o petrolio su terra. Forse andrebbero aboliti gli scambi di ossigeno e anidride carbonica così da abbassare le emissioni inquinanti nonché le figure inquietanti. Mi attardo su questo pianeta per l’istinto di conservazione e per il cattivo gusto di vedere un brutto finale.
Il salvatore di turno mangia l’uovo di Colombo a pranzo e cena mentre le sue controfigure ne fanno le veci al cospetto di una claque che viene pagata a cottimo. Ognuno mantiene le proprie convinzioni come se fossero ex mogli alle quali pagare gli alimenti e va bene così benché così invero non vada affatto bene.
I tempi si fanno sempre più incerti, ma io trovo rifugio dentro di me e cerco di concentrarmi sugli aspetti dell’esistenza che rispondono subito alle mie azioni deliberate. Non posso evitare il confronto con quelle condizioni su cui non ho potere decisionale né modo d’incidere, tuttavia mi è permesso eluderle il più possibile e posso reagirvi nella maniera che io reputi migliore. È poco, ma non è nulla e soprattutto può diventare molto. Non è colpa mia se le scelte importanti sono delegate a degli idioti impreparati che rasentano la perfezione nella palese inettitudine di cui sono gelosi custodi, ma posso sfruttare una simile circostanza come banco di prova da cui trarre spunto e dimostrazione per essere all’altezza di altre situazioni: nulla va perso.
Sono il mio alleato migliore, di certo l’unico, ma d’altro canto non può che essere così. Quando una parte di me si allontana dal mio centro un’altra corre in suo soccorso e la richiama a quell’ordine di cui riconosco l’importanza. Non mi cerco fuori né m’illudo che le mie componenti formino sempre una salda unità. Sono l’opera incompiuta di un divenire privo di scopo, ma tutto ciò non significa che debba tenere il broncio davanti alla mia finitudine. È sempre la questione introspettiva che non smette di appassionare né di appassionarsi, nient’altro.
Penso che la decostruzione sia il modo migliore per edificare rovine sostenibili e quindi me ne avvalgo per quanto è nelle mie capacità. La continua scoperta di me stesso è il leit motiv che si manifesta salvifico quando altre sublimazioni siano costrette a una battuta d’arresto definitiva o passeggera, calcolata o improvvisa: in ogni caso si tratta di un processo perpetuo e secondo me questo suo tratto più di altri ne svela l’importanza. Non ho appigli dialogici né voci risonanti a cui dare credito. Non ho tele organiche su cui proiettarmi o dalle quali ricevere proiezioni, o almeno non a un livello che faccia qualche differenza su un piano qualsiasi. Non subordino la ricerca alla consolazione perché anche se volessi tentare questo espediente non saprei trarne il mendace vantaggio: la lucidità è già sopra il livello di guardia.
Non ho propositi da seminare sulle nuove pagine del calendario gregoriano. Per me un anno vale l’altro, ma comprendo l’esigenza pratica della loro enumerazione. Il giovane e mite inverno delle ultime settimane non mi fa né caldo né freddo, perciò la mia noncuranza è anche climatica giacché le condizioni me lo permettono. La mia esistenza segue una rotta precisa e non avverto il bisogno d’imporle brusche virate, ma non posso escludere che eventi futuri e privi di avvisaglie mi obblighino a compiere manovre decise. Vivo per me stesso, tuttavia non ricorro al bieco egoismo di cui il mondo subisce ogni giorno gli infortuni e quindi la mia è una condotta innocua. Sono autoreferenziale per comodità. Non vado alla ricerca di emozioni forti e non mi stupiscono i trucchi della specie, però ho una vita interiore molto intensa ed è proprio nei miei recessi che trovo quasi tutto o me lo faccio ordinare.
Non ho nulla da condividere perché non m’impegno a fare né a ottenere qualcosa che si presti a tale comunanza. La mia indole non è oppositiva rispetto ai miei simili, tutt’altro, ma con me stesso ho sempre la certezza di eludere la noia mentre in compagnia non posso dichiararmi altrettanto sicuro. Non smetterò mai di ribadire quanto gli entusiasmi altrui spesso non mi appartengano né m’interessi appropriarmene, ma al contempo intuisco come taluni siano incapaci di concepire ogni realtà diversa da quella in cui sono irretiti con le apparenze del libero arbitrio. Ognuno s’illude come crede: qualcuno si arrampica sugli specchi o raschia il fondo, altri invece cercano di affrancarsi il più possibile dagli inganni della mente: i secondi (secondo me) compiono un’opera meritoria già con il solo tentativo di porla in essere, ergo a prescindere dall’esito poiché quello sforzo ne definisce il grado di autenticità.
Rischiano di risultare pericolanti quei ponti che vengano eretti in tutta fretta con il solo scopo di trovare un’alternativa all’isolamento, ma d’altro canto soltanto chi non sappia godere di sé è destinato a giocare con le costruzioni fino a quando non ne abbia abbastanza o non si stufi della propria inettitudine.