All’orizzonte non si profilano porti d’attracco, bensì vi colgo mirabili occasioni di naufragio. Secondo me l’ottimismo si presta bene al dileggio e per questa ragione non lo reputo del tutto inutile. Talora ho anch’io i miei slanci di fiducia verso eventi in divenire e bagatelle simili, però non riesco mai a capire se debba esserne fiero o se almeno possa compiacermene. Non vedo ragioni valide per condannare i sorrisi forzati, difatti essi per definizione già scontano la propria pena e se così non fosse sarebbero sotto la tutela di un altro aggettivo. Quando il futuro non si annunci roseo a me non viene di fingermi daltonico, quando invece quest’ultimo abbia davvero tinte propizie di certo non vado a incupirle con pennellate di grigi. Si tratta di cose banali, come tutte d’altro canto.
Spero che il nuovo telescopio spaziale fornisca presto ragguagli su come è cominciata questa replica cosmica nel palinsesto degli universi. Per me le vere restrizioni sono quelle che non consentono alla mia specie di recarsi fuori del sistema solare con lo stesse risorse richieste da una gita fuori porta. A volte l’aiuto giusto assume la forma irreversibile di un suicidio assistito o quella altresì definitiva di un aborto coi fiocchi. C’è una lunga lista d’attesa per entrare al camposanto, però di tanto in tanto una morte precoce corrisponde a uno scatto d’anzianità o a quello verso il primo baratro in linea d’aria. Mi chiedo come mai non esista un concorso per vincere un funerale di Stato da usare all’uopo. Quando vado in un cimitero non capisco mai chi sia il più ricco degli assenti e all’entrata non trovo mai la classifica, ma può darsi che qualcuno la rubi per appropriarsi di quel primato in futuro.
Abbattimenti per improvvidi umanoidi
Pubblicato domenica 26 Dicembre 2021 alle 17:40 da FrancescoSotto l’albero di Natale si possono porgere verità infiocchettate che valgano per tutto l’anno e anche oltre, ossia regali ecologici ed economici il cui unico costo risulta a carico della coscienza. Si accendono e si spengono le lucine sulle strade violente dove la legge nulla può giacché spesso i suoi servitori nulla vogliono. Forse qualcuno scrive biglietti di auguri con gli stessi ritagli di giornale che di solito impiega per le lettere minatorie.
I sogni son desideri, ma anche le cospirazioni rientrano nella stessa categoria. Qualora basti il pensiero immagino che un dono possa considerarsi anche quello di una promessa da montare e smontare all’uopo in barba (bianca) alla coerenza. I buoni propositi risultano molto utili perché di ciò sono lastricate le vie dell’inferno che hanno un costante bisogno di manutenzione, ma almeno quelle sono più sicure di certi ponti e viadotti sui quali taluni hanno perso la vita per colpa di terzi e di lucrosi secondi fini.
Avverto l’atmosfera delle festività benché molto attenuata per ovvie e pervicaci ragioni che invero non mi turbano. Anche quest’anno non mi sono arruolato nel consumismo sfrenato né ho dovuto tenere a bada l’acquisto compulsivo, però ho riservato qualche piccola attenzione per me stesso e non mi sono spinto oltre. Più passano gli anni e più mi risulta difficile gratificarmi con modesti beni materiali ancorché siano veicoli di cultura e apprendimento: allo stesso modo trovo sempre più facile concedermi riflessioni liete e distaccate. Credo che in fondo non me ne fotta un cazzo di niente, ma questa è soltanto una mia vaga impressione.
Per Capodanno non ho progetti, tuttavia non ne serbo neanche per l’avvenire e quindi non proietto nulla in avanti così come non mi trascino dietro un passato ingombrante. Viaggio leggero, io, però conto di liberarmi in misura ulteriore e per uno sgombero definitivo mi affido alla mia futura estinzione. Tempo al tempo: intanto mi diletto in questa gabbia terracquea e, per areare il locale, mando a fare in culo chi lo merita.
Talora le parole giuste cadono dal cielo o precipitano dalle bocche nei momenti sbagliati, perciò ogni loro beneficio viene nullificato dal pessimo tempismo. Non so quali formule pronunciare davanti agli eventuali entusiasmi di una nuova conoscenza e suppongo che questa mia incapacità derivi da una crescente noncuranza verso ogni possibile reciprocità, ma preferisco attribuirla a un amor proprio fattosi ipertrofico per ragioni di sussistenza interiore.
In trentasette anni non ho mai esperito relazioni sentimentali né carnali, però ho avuto delle sporadiche infatuazioni platoniche con pochissime temerarie che si sono concluse sempre con un distacco vicendevole e definitivo. A me piace pensare che qualche rara volta le persone si allontanino così tanto solo per ritrovarsi all’altro capo del mondo, ma io non mi ci vedo in un rendez-vous di questo tipo. Forse l’età fa scemare certi bisogni, specialmente se essi siano rimasti inespressi e inappagati proprio quando potevano affermarsi all’acme della loro intensità. Non riesco davvero a rendermi conto se in me alberghi ancora qualche necessità affettiva e, qualora davvero ve ne si annidino, quale sia la loro entità. Non sono neanche in grado d’immaginarmi al di fuori di quel numero che precede tutti i numeri primi benché esso stesso non lo sia e mi doni alla grande: è l’abito buono per… tutta l’esistenza.
Dagli albori a oggi la mia individualità ha compiuto passi da gigante, ma forse questi non sono così ampi da consentirmi di farne qualcuno indietro. Mi sento quasi in debito con la specie per il mio (in)giustificato assenteismo.
Non ho un’indole autodistruttiva e la mia funzione di adattamento negli ultimi tre lustri ha dato il meglio di sé, ma il rovescio della medaglia si trova nella lontananza e nel disinteresse da ogni altro universo che proprio qui dibatto tra me e me stesso: mi avvince più la questione in quanto tale che il suo oggetto di domanda. Può darsi che ulteriori introspezioni di cui l’avvenire è puntuale latore finiscano per darmi ulteriori spunti, ma al momento non ne scorgo e quindi non ho altro da aggiungere né qualcosa da rimuovere.
Così è se mi pare.
Nuovo record personale sulla mezza maratona
Pubblicato mercoledì 8 Dicembre 2021 alle 16:53 da FrancescoIn una mattina tutt’altro che immacolata ho chiuso un piccolo tour de force di cinque gare che ho iniziato venticinque giorni fa, ossia due maratone, un trail, una dieci e, quest’oggi, una mezza in cui ho finalmente siglato il mio nuovo record personale. I 21097 metri sono una distanza per la quale non ho mai avuto grande attenzione né cura, alla stregua di quanto certe istituzioni hanno fatto con le vittime da uranio impoverito, quindi si trattava di una prestazione “facile” da migliorare.
Il tempo finale è stato di 1 ora, 16 minuti e 34 secondi (real time) in quel di San Miniato, quindi a un’andatura media di 3’38″/km (13° posto).Invero speravo di girare sull’ora e quindici, ma quattro giorni or sono ho corso anche una dieci chilometri a Canino piuttosto dura a causa del dislivello e l’ho chiusa in 35 minuti e 43 secondi perdendo una bellissima volata finale (8° posto): la foto, ch’io trovo michelangiolesca, fa riferimento proprio alla gara in Tuscia.
Sono contento di me come allenatore di me stesso e anche se cerco di strafare non me ne fotte nulla perché alla fine mi diverto sempre.
Miti e simboli dell’India di Heinrich Zimmer
Pubblicato sabato 4 Dicembre 2021 alle 12:52 da FrancescoLa mia lettura novembrina è stata quella di Miti e simboli dell’India, un saggio concernente aspetti della religiosità vedica a me già noti, ma di cui il testo di Heinrich Zimmer mi ha offerto ulteriori e interessanti approfondimenti. Basilare ma doverosa la spiegazione iniziale di come ogni ciclo del mondo per l’induismo sia ripartito in quattro età definite yuga e il cui avanzamento va di pari passo con un impoverimento del dharma, ossia dell’ordine morale.
Altra definizione capitale e precipua riguarda i concetti di maya e shakti, laddove la prima indica il mondo fenomenico, quanto è manifesto e illusorio, mentre la seconda è l’aspetto dinamico della prima che ne genera e ne alimenta le epifanie. Zimmer dà conto in più occasioni degli apparenti dualismi che attraversano l’induismo, perciò egli spiega come la shakti rappresenti il potere attivo di una divinità e ne sia la consorte o regina, in complementarietà e opposizione all’elemento passivo maschile (l’eternità): in un passaggio l’unione dei due viene descritta come autorivelazione dell’Assoluto.
Molte sono le pagine dedicate ai simbolismi e alla cosmogonia che mi hanno avvinto, ma è stata in particolare la storia del tracotante Jalandhara a colpirmi poiché il suo tentativo di prendersi in sposa Parvati fa compiere all’autore un parallelismo con il mito edipico, paragonando la consorte di Shiva a Giocasta al fine di sottolineare come il possesso della moglie di un sovrano risponda a un preciso rituale di potere e sia quindi scevro di tutte le implicazioni freudiane.
Sessuale, archetipico e fortemente simbolico è il linga, oggetto fallico d’elezione per il culto di Shiva in quanto energia maschile creatrice, ma il dio è anche distruttore e questa sua duplice natura viene esplicitata dalle principali danze che egli padroneggia: la Tandava e la Lasya.
La gerarchia delle divinità, la differenza tra Brahma e Brahman, i vari aspetti di Shakti (di cui a me piace molto la Kali nera) e, soprattutto, lo stato di prigionia al quale ogni individuo è costretto dalla propria Maya-Shakti (e quindi dalla cosiddetta nescienza) che egli stesso genera, sono altri elementi ivi presenti e stimolanti la cui lettura mi ha ricordato di nuovo quanto verso tutto ciò sia debitrice parte della filosofia occidentale. Duecento pagine spese bene.