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Un titolo che non può esservi

Non so come taluni intendano esercitare i propri diritti giacché la muscolatura del loro senso critico mostra i chiari segni di una grave atrofia, ma il mio interesse per la questione non supera la soglia della domanda retorica. Non ho mai misurato l’ombra della verità, però suppongo che superi in grandezza le convinzioni di quanti pensino a ogni piè sospinto di saperla più lunga degli altri. Io stesso detengo una quota di giudizi erronei, veri e propri clandestini sul territorio neurale, ma non è facile controllare i documenti di ogni singola opinione né semplice risulta il suo eventuale rimpatrio tra i confini dello sbaglio natale.
Secondo me la perfetta nemesi dell’originalità risiede nella sua ostinata ricerca, perciò in alcuni casi l’istinto di gregge si dimostra più autentico e verosimile di un’autonoma idiozia, ma il vaglio di simili idee pertiene alle rispettive introspezioni che talora non sono all’altezza dello scranno su cui vengono poste.
Un certo grado della cosiddetta realtà, in particolare il suo epifenomeno sociale, viene forgiato dalle fuorvianti interazioni dei compartecipi, quindi in tutto questo non scorgo una deformazione propriamente detta, bensì uno sviluppo spontaneo che può essere paragonabile a quello di una malattia autoimmune. La singola cellula non può pretendere di condizionare l’intero organismo a meno che non ne guadagni l’egemonia in accordo con altre sue pari in misura sufficiente.
A mio avviso (come se davvero potessi reclamarne l’intera proprietà) quanto sfugga al senso critico non si fa mai latitante, ma è latente e liberamente esigibile all’occhio che sappia coglierlo. Le discrepanze del quadro generale rimandano sovente all’incapacità di ordinare in maniera approssimativa dei pezzi che per loro stessa natura non si possono incastrare a vicenda, ma è nella comprensione della comprensibile mancanza di omogeneità che si annida un senso apparente a cui non può esserne attribuito uno ultimo, o almeno così io ipotizzo e nel farlo già prendo le debite distanze da quanto ne consegue.
L’intera faccenda, qualunque essa sia, si dimostra capziosa e implica grandi rotture di coglioni, ma può darsi che un domani un’umanità più evoluta, o “semplicemente” diversa, si ritrovi a formulare cotali dinamiche in termini per i quali al momento anche l’immaginazione più vivida si vede preclusa ogni tipo di accenno o ipotesi. Ai posteri i cazzi loro.

Francesco

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