Nuovi fuochi nell’aere e deflagrazioni al suolo celebrano la belligerante, insofferente ed efferata intersezione della terra di Canaan con quella dei filistei. La storia offre a certi popoli numerose ragioni con cui razionalizzare i reciproci annientamenti, come se una parte dell’umanità fosse un frutto da spremere per colmare una fraterna sete di sangue. Comodo e assiso, a migliaia di chilometri di sicurezza, quindi in osservanza delle attuali norme sul distanziamento sociale, io assisto alla morte in lieve differita di individui che non ho mai conosciuto: essi giungono a me sotto forma di fredde statistiche o come immagini a buona risoluzione.
La violenza è insita nella mia specie, la tendenza alla sopraffazione assume le forme più disparate in accordo con i luoghi e le epoche, ma non svanisce mai perché trova sempre asilo e motivi all’apparenza plausibili. La lotta può riguardare due ubriachi o popoli in guerra da generazioni, tuttavia la matrice è la stessa e mi chiedo se l’essere umano possa davvero affrancarsene. Nel frattempo, sul letto del tempo, scorrono fiumi di sangue e sofferenze, ma io non posso farci nulla e al contempo, in una qualche misura, ne sono correo giacché ai miei occhi una parvenza di empatia non conferisce alcuna assoluzione a nessuno.
Tra le varie ragioni per le quali non ho mai desiderato figli e mai ne avrò, figura anche la nefasta eventualità che la mia prole possa rendersi carnefice o cadere vittima nelle bellicose spire della specie. L’ingiustizia è la regola e il suo esatto contrario invece ne costituisce l’eccezione, ma a certe latitudini questa sperequazione risulta ancora più marcata.
Non mi cimento in considerazioni geopolitiche, non me lo posso permettere perché non ne ho i mezzi, però se azzardassi tanto lo farei solo per godermi l’illusoria vanità di un’analisi infondata e il relativo possesso della stessa nel campo delle idee.
Seguo il conflitto tra Israele e Hamas con molta attenzione, attingendo da fonti dirette e soppesando il materiale nel quale incorro, inoltre di quest’ultimo ne raccolgo parte sul mio canale YouTube (questa è la playlist) per scopi documentaristici e archivistici.
La cupola di ferro, il cosiddetto iron dome, ossia lo scudo israeliano, disegna con le proprie geometrie forme astratte e conseguenze concrete, come se l’attacco degli uni e le difese degli altri si abbracciassero fatalmente per ritardare l’inevitabile. Comunque vada, sarà un decesso.
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