Se la legge fosse davvero uguale per tutti forse non ci sarebbe bisogno di scriverlo o di dirlo. Centinaia di morti al giorno non suscitano più scalpore da parecchio tempo, ma ipotizzo che una simile assuefazione ai decessi dipenda dalla costanza degli stessi. Può darsi che talora negli individui e nelle masse, dopo un’inattesa e inconsueta sequela di tragici eventi, scatti un meccanismo di difesa per il quale i numeri mantengono la loro fredda natura, a prescindere dalla misurazione nella quale sono impiegati; migrazioni, cadaveri, mattoncini per le costruzioni: la differenza è poca o persino nulla.
L’unico problema che riconosco al coprifuoco consiste nelle sue implicazioni economiche, ma al di là di questo aspetto pragmatico non lo reputo affatto liberticida.
Non importa quanto cresciuti siano i figli, giacché certi genitori restano sempre persone piccole e difendono la propria prole a detrimento di quella altrui. Il cosiddetto familismo amorale è un fenomeno tangibile nei molteplici gradi della scala sociale e la sua validità è suffragata in sommo grado e corroborata da costanti episodi che albergano tanto negli archivi delle cronache quanto nell’attualità più immediata.
A mio modesto avviso l’indagine antropologica di Banfield e la sua tesi di fondo non presentano nulla di sorprendente, difatti dànno conto di formazioni archetipiche che si rinnovano in ogni generazione a discapito di quelle successive, nell’eterno ritorno degli stessi stronzi. Chi voglia cimentarsi in esercizi arditi può cominciare a ripensare la famiglia tout court, sia come istituzione che come impasse, ossia un’arma a doppio taglio di cui è consentita la libera fondazione.
Mi chiedo come le persone più ingenue possano orientarsi in una legge che ne contiene un’altra, tacita e nociva per quella in relazione alla quale dovrebbe risultare subalterna, ma la gerarchia non è rispettata e quindi, a fronte di queste scatole cinesi, mi pare che il governo di Pechino non sfiguri poi tanto vicino alle democrazie più incompiute.
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