Se la legge fosse davvero uguale per tutti forse non ci sarebbe bisogno di scriverlo o di dirlo. Centinaia di morti al giorno non suscitano più scalpore da parecchio tempo, ma ipotizzo che una simile assuefazione ai decessi dipenda dalla costanza degli stessi. Può darsi che talora negli individui e nelle masse, dopo un’inattesa e inconsueta sequela di tragici eventi, scatti un meccanismo di difesa per il quale i numeri mantengono la loro fredda natura, a prescindere dalla misurazione nella quale sono impiegati; migrazioni, cadaveri, mattoncini per le costruzioni: la differenza è poca o persino nulla.
L’unico problema che riconosco al coprifuoco consiste nelle sue implicazioni economiche, ma al di là di questo aspetto pragmatico non lo reputo affatto liberticida.
Non importa quanto cresciuti siano i figli, giacché certi genitori restano sempre persone piccole e difendono la propria prole a detrimento di quella altrui. Il cosiddetto familismo amorale è un fenomeno tangibile nei molteplici gradi della scala sociale e la sua validità è suffragata in sommo grado e corroborata da costanti episodi che albergano tanto negli archivi delle cronache quanto nell’attualità più immediata.
A mio modesto avviso l’indagine antropologica di Banfield e la sua tesi di fondo non presentano nulla di sorprendente, difatti dànno conto di formazioni archetipiche che si rinnovano in ogni generazione a discapito di quelle successive, nell’eterno ritorno degli stessi stronzi. Chi voglia cimentarsi in esercizi arditi può cominciare a ripensare la famiglia tout court, sia come istituzione che come impasse, ossia un’arma a doppio taglio di cui è consentita la libera fondazione.
Mi chiedo come le persone più ingenue possano orientarsi in una legge che ne contiene un’altra, tacita e nociva per quella in relazione alla quale dovrebbe risultare subalterna, ma la gerarchia non è rispettata e quindi, a fronte di queste scatole cinesi, mi pare che il governo di Pechino non sfiguri poi tanto vicino alle democrazie più incompiute.
Sto riprogrammando la mia mente per adeguarla a delle nuove impostazioni, perciò quando corro o svolgo altre attività finisco per meditare con una concentrazione maggiore rispetto al solito. Ho già compiuto i primi collaudi di questo mio nuovo assetto e uno l’ho eseguito in occasione di due allenamenti fisici piuttosto impegnativi, difatti mi sono ritrovato a correre cinquanta chilometri in 3 ore e 55 minuti, ovvero a un ritmo di 4’42” al chilometro, e ventiquattr’ore dopo ho corso una mezza maratona a un’andatura di 3’50” al chilometro, quindi in 1 ora e 21 minuti: così in due giorni ho messo settantunmila metri nelle gambe e non ci sarei riuscito se il mio corpo non fosse stato coadiuvato dalla sua naturale alleata. Al momento sono soddisfatto della mia tenuta mentale e spero di affinarla ancora.
Non vivo al di fuori della prosaica realtà di cui faccio parte, almeno in una certa misura, perciò sono consapevole di come l’economia si stia avvicinando a un punto di non ritorno, mi rendo conto di come la fiducia di un quisque de populo non possa essere riposta in alcuna istituzione e dunque mi limito a prendere atto della decadenza spettrale che si prospetta all’orizzonte, tuttavia io non posso farci nulla. Non mi stanco mai di ricordare a me stesso come abbia parziale potere soltanto sulla mia esistenza e quindi non possiedo la panacea di tutti i mali, ma anche se la trovassi scontata in qualche ipermercato forse non la metterei nel carrello. Non ho inventato io il male né posso trovarne la cura, però la mia natura umana mi permette d’evolvermi come individuo e questo è il massimo servigio che posso rendere alla presente esistenza. Cosa devo aggiungere o sottrarre? Cosa può essermi levato o dato? Ogni attualità si sta ingiallendo ed è destinata a futura dimenticanza, ma al suo massimo splendore appare sempre capitale per le sorti dell’intero universo, anch’esso invero piuttosto risibile e sopravvalutato.
Gli eventi mi stanno offrendo la possibilità di mettermi alla prova su una distanza che avevo smesso di prendere in considerazione e per la quale al momento non mi sento davvero pronto, ovvero i cento chilometri su strada. Nelle prossime settimane dovrò improvvisare una preparazione che possa aiutarmi a fare una buona prova sui centomila metri, difatti punto a migliorare il mio record personale che risale al 2018, in quel di Seregno, quando conclusi la gara in otto ore e trentacinque minuti.
Mi affascina questa prova perché in larga parte è un salto nel buio. È una sfida che lancio a me stesso e alle mie attuali capacità, di certo superiori a quelle con cui affrontai la manifestazione di cui sopra, ma l’ultima parola spetta alla strada e solo lei può dare un giusto responso, o meglio, in questo caso l’asfalto dell’autodromo di Imola sul quale si disputeranno i campionati italiani di cento chilometri e per la cui partecipazione sono previsti dei requisiti che io soddisfo in ragione delle mie prestazioni pregresse.
Mi eccita l’idea di non avere il controllo della situazione, di rischiare il ritiro e la sua amarezza o di conseguire i loro celestiali opposti, perciò farò tutto quanto è nelle mie possibilità psicofisiche per arrivare pronto alla partenza. Quello è il mio posto al momento, devo recarmici, al di là dello sport e del mero agonismo, per me si tratta del richiamo di un ricorso storico e può costituire una sorta di anno zero sotto tanti punti di vista. Ci metterò tutto me stesso.
In questo periodo mi sento pronto soltanto per una buona maratona, perciò dovrò modulare i ritmi e i carichi dei chilometri in funzione di una distanza più che duplice. Non sono un neofita e ho molto margine per affrontare bene le settimane venture. Credo tantissimo in me stesso, anche perché se non lo facessi io il posto resterebbe pericolosamente vacante.
A volte il pensiero retrocede a tempi d’illusorio entusiasmo, ma non riesco a condannare queste sue divagazioni e quindi le accolgo nella misura in cui non mi sinistrino. Forse alla mia esistenza manca qualcosa ed essa me ne chiede conto nei modi più disparati, ma io non posso dare seguito alle sue istanze e quindi la invito a desistere per mezzo dell’inazione nei suoi campi d’interesse.
Per quanto lentamente, l’età avanza e tale incedere attenua le richieste di cui sopra, perciò ho più margine di manovra e controllo a livello cosciente, piano quest’ultimo sul quale riesco a trovare appagamento e sublimazione al di fuori delle vie ordinarie. Sarei al contempo folle, ingenuo e paranoico se pretendessi di reprimere ogni appello della mia parte più recondita, giacché se provassi a misurarmi con le sue insistenze finirei per alimentarne la tenacia e dunque mi affido all’introspezione come strategia preminente. Mi pare che le scelte migliori non siano sempre intuitive e devo distrarre a intervalli regolari una certa quantità delle mie energie per rammentarmelo con la dovuta perseveranza.
Lo strumento più potente in mio possesso è il dialogo che ho instaurato con me stesso e l’ipertrofia dell’amor proprio ne è una chiara conseguenza benché non presenti complicazioni egoistiche. Non mi reputo adatto a un ruolo preciso, non rintraccio in me talenti particolari e non ho l’ambizione di diventare il pilastro di un’altra esistenza. Il mio raggio d’azione è limitato alla mia sfera personale e se già non fosse così mi adopererei per ridurne la gittata. Non ho nulla da insegnare e quello che condivido arriva eventualmente a terzi come effetto secondario di una causa catartica, inoltre modulo la mia propensione a imparare sulla possibilità di farlo da autodidatta.
Mi considero in una zona grigia, ovvero a debita distanza da molta mediocrità grazie a uno iato che cerco di salvaguardare, ma lontano dalle migliori declinazioni di qualunque sodalizio, ergo il mio solipsismo è una scelta obbligata di cui al contempo mi compiaccio. In estrema sintesi, non amo le rotture di coglioni.
Assisto con un certo distacco alle comiche repubblicane e non mi perdo nemmeno lo spettacolo delle loro rovinose conseguenze. La disorganizzazione impera a qualsiasi livello, ma almeno innesca delle sane risate e mi domando se il popolo tutto non debba fare affidamento proprio su queste per alzare le difese immunitarie. Un tempo i traditori della patria più che in televisione passavano per le armi, ma oggigiorno v’è un’accesa sensibilità che spegne il buonsenso, specialmente quando risulti poco piacevole. Io non posso lamentarmi, me la cavo alla grande e mi sento bene: coltivo le mie passioni in quieta solitudine, condivido gli spazi domestici con simpatici e apatici felini, mi bevo limonate dissetanti e delle buone tazze di ginseng. Insomma, non mi faccio mancare niente.
Ho cominciato a scrivere il mio sesto libro e ho ragione di credere che questa sia la volta buona, però non ho idea di quanto tempo mi servirà per completare il prossimo scritto a mio uso e consumo. C’è una forza creativa che preme in me anche su altri fronti, di fatto essa mi accerchia e non allenta la propria presa perché ancora non ho reificato talune cose, ma tutto sta avanzando insieme e il prezzo di tale coordinazione è una certa lentezza. Non voglio fare qualcosa per identificarmici o per caricarci delle aspettative, bensì per liberarmi dalla spinta di cui sopra: in altre parole intendo realizzare delle cose per immolarle a loro stesse come già ho fatto in passato.
Da dicembre ho compiuto dei buoni progressi nella corsa e spero di capitalizzarne una parte nella prima maratona dell’anno, tuttavia non ho ansie da prestazione e non ne avrei neanche se dovessi perdere la verginità con la più bella e intelligente ragazza di un capoluogo di provincia o addirittura di regione. Sono un po’ indietro con alcune letture e coi relativi appunti, ma indietro rispetto a cosa non mi è chiaro, forse in relazione al comprensibile desiderio che tutto si compia il prima possibile in ragione di chissà quali infantili motivi.