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Le paure

Qualche ora fa, mentre correvo sotto i minacciosi nembi di un inverno mite, mi sono chiesto quali siano i miei timori più profondi e in quale misura mi condizionino. Non sono riuscito a darmi risposte convincenti e non ho proprio idea di cosa mi spaventi davvero, però immagino che certe paure siano sopite al mio interno, ascose, pronte a uscire allo scoperto appena si presenti l’occasione per un agguato, a mo’ di vietcong nella giungla.
Non ho mai esperito attacchi di panico e credo che almeno in parte ne abbia scongiurato l’insorgenza grazie all’introspezione, tuttavia ho visto quale egemonia sanno ottenere quei disturbi su altre persone e ne sono rimasto sorpreso. Di cosa dovrei avere apertamente paura? Della mia morte? O di quella di mia madre, l’unica persona a cui voglio bene? Della povertà? Della malattia? Dell’invecchiamento? Di perdere un’identità che non ho né cerco? Del ritiro improvviso del burro di arachidi dai supermercati?
Vivo con un ricercato senso di abbandono che mi facilita l’esistenza, perciò sono poche le cose a cui tengo e forse anche di quelle alla fine non m’interessa poi tanto. Non sono un terreno fertile per certe inquietudini perché in me mancano le premesse necessarie al loro compimento, ma anche nel mio sottosuolo qualcosa dev’esserci e io continuo a scandagliarne le profondità.
Mi sento davvero di passaggio su questo pianeta, non ho ambizioni vere e almeno a livello conscio non cerco niente di particolare, però non mi sento immune da certi moti dell’animo. Oltre al corpo alleno la mente affinché si renda terza rispetto a quanto l’attraversa, ma talvolta gli sforzi non mi sembrano adeguati o forse io non riesco a coglierne gli effetti. Di questi miei anni, i quali per me rientrano in pieno nella tarda gioventù, non so cosa conservare perché anche i cimeli mnestici non mi appassionano molto, tuttavia sono contento di trovarmi su un mondo del quale non m’importa quasi niente. Vada tutto come deve andare e il resto lo segua di buona lena.

Francesco

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