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La baracca repubblicana

Le manie di protagonismo e l’avidità di potere brillano di luce propria: almeno quest’ultima non è a carico dei contribuenti. Credo che ogni nazione abbia la classe politica che merita e quindi ogni popolo viene sì rappresentato, ma in primo luogo per le proprie storture e poi, in un secondo tempo e solo formalmente, per le confuse istanze di cui si fa richiedente grazie al giochino democratico delle “libere” elezioni.
La mia non è una banale invettiva, giacché se tale fosse il mio intento risulterei più scontato di quanto già io non sia, e quindi mi limito a una constatazione dei fatti, invero anch’essa piuttosto ovvia. Per me le istituzioni sono ricettacoli di acque reflue, prive di pragmatismo e incapaci di perseguire quest’ultimo, anche nei rari casi in cui esse ci provino nella persona di qualche integerrimo funzionario, ma d’altro canto non può essere altrimenti perché una democrazia corrotta e immatura necessita di un tale trofismo per mantenere in vita gli aggettivi anzidetti. Un sistema differente può essere ideale per me, ma esiziale per chi invece trovi vantaggi e una propria identità in una cotale porcilaia, dunque non ammanto queste mie considerazioni d’una patina moralistica e riduco tutto a un approccio analitico assai semplice o semplicistico.
Se anche volessi vedere delle persone capaci e meritevoli sugli scranni più alti di questa baracca repubblicana, come potrei fare? Di certo non con il voto, ma soltanto con un atto di forza per istituire un nuovo potere che a taluni, alla fine, risulterebbe altrettanto oppressivo, inetto e reo delle peggiori sperequazioni. Non se ne esce, ma il problema si trova a monte: esserci entrati con l’incidente della nascita.
Lo stato (con la esse maiuscola o minuscola in base al proprio sentire) si configura come il male minore di un male maggiore ma spesso necessario: quest’ultimo altro non è che è la vita in società. Non m’interessa granché l’argomento del giorno quanto invece quello dell’eternità, ma dal primo traggo spunto per eiaculare un pensiero infecondo sull’attualità, altrettanto sterile.

Francesco

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