Mi sto allenando con una costanza e una determinazione dalle quali non ero mai stato investito prima, inoltre il fisico e la mente stanno rispondendo bene agli sforzi che impongo loro con una certa frequenza. Voglio spingermi fino ai confini delle mie possibilità genetiche e non ho altre ambizioni all’infuori di questa, ma se non dovessi riuscirci non cambierebbe nulla, proprio come se invece portassi a compimento l’opera mia. È tutto autoreferenziale e si esaurisce in sé.
Il gesto atletico e l’accumulo di acido lattico mi fanno sentire tutt’uno con il cosmo, perciò non intendo rinunciarvi fino a quando cause di forza maggiore non me lo imporranno. La corsa mi ha dato molto e io mi ci rapporto come se fosse una dea madre. Se la natura mi avesse donato il talento necessario, mi sarei votato anima e corpo al professionismo, ma io ho soltanto un po’ di predisposizione e non posso ambire a certi tempi.
Ammiro chiunque coltivi con devozione quasi mistica il proprio potenziale perché ai miei occhi è come se assolvesse un dovere che nessuno gli ha imposto né suggerito. È stato speso bene tutto il tempo che ho trascorso sull’asfalto e tra i sentieri della macchia mediterranea: non mi sono perso nulla e ho guadagnato qualcosa che non si può comprare. A taluni tutto questo appare privo di senso, però io non so dove ordinare i pezzi di ricambio né le parti mancanti per aggiustare il loro punto di vista e, soprattutto, non offro questo tipo di assistenza tecnica.
La mia motivazione s’ingenera con un processo d’abiogenesi. Dentro di me c’è tutto quello di cui ho bisogno e ormai ho una certa confidenza con i processi estrattivi dai quali dipende l’accorto sfruttamento delle risorse endogene.