Le prime righe dell’anno le lascio sgorgare da un flusso di coscienza che stasera precede la preparazione del mio unico pasto: la cena. Talora mi capita di rileggere le mie esternazioni più recenti e mi ci riconosco pienamente come in una sorta d’ulteriore conferma, ma di tanto in tanto trovo risibili alcuni dei toni solenni con cui appunto idee e sensazioni passeggere.
Mi piace schernire alcune parti della mia persona, ma lo faccio senza cattiveria a mo’ d’esercizio ginnico e come pratica preventiva, affinché il sottoscritto non rischi di prendersi troppo sul serio. Nei miei testi, o almeno su queste pagine, a volte dovrei ricorrere a una maggiore leggerezza per cagione delle mie stesse riletture, ma in certi casi il mio apparente sussiego nasconde raffinate facezie e, altezzoso, non frequenta la modestia. Mi vengono in mente tante cose da mettere nero su bianco e se fosse possibile alcune di esse le reificherei con lettere cubitali, ma per fortuna la grandezza dei concetti non dipende da quella dei caratteri tipografici.
Provo un moto di nostalgia verso una signorina con cui interloquii quando l’attuale presente si profilava come prossimo futuro, però non sono così motivato da scriverle qualcosa o forse non mi va, ergo riverso qui il mio ricordo di lei, il quale dubito che corrisponda al di lei ricordo.
Cosa mi preparo stasera da mangiare? Oggi ho corso trentatré chilometri a un ritmo di quattro minuti e nove secondi al chilometro, ossia due ore e sedici minuti sulle gambe, perciò due etti di pici senesi (spaghetti toscani piuttosto grandi, simili ai vermicelli) con del pesto alla genovese penso che si confacciano allo sforzo profuso: ha la felicità un altro gusto? Probabile, ma io mi contento d’una certa serenità d’animo.
In questo preciso istante ho una fame tremenda. Non sono un grande cuoco né lo sarò mai, difatti mi limito a rovinare ricette semplici, però mi piace preparare i miei pasti; anzi, ne avverto proprio l’insolito bisogno.
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