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Sul limitare della noncuranza

Quest’anno il clima natalizio è subordinato a quello dell’Apocalisse, ma io credo che il giorno del giudizio sia stato rimandato per evitare assembramenti. Anche l’eventuale fine del genere umano deve osservare le regole contro il contagio. Non seguo i deliri politici che si dispiegano nella nazione di cui possiedo il mio unico passaporto e mi espongo all’informazione nella misura in cui questa mi risulti d’utilità pratica, perciò non mi avvincono affatto le diatribe tra i piccoli pensatori del piccolo schermo. A me tutte queste restrizioni non pesano per nulla in quanto sono solito trascorrere per i fatti miei questi giorni mitriaci, tuttavia capisco quale colpo al cuore costituisca per taluni l’impossibilità d’imbandire tavole e discorsi allegri.
Non faccio l’albero di Natale perché i gatti a cui mi accompagno già dispongono di molteplici svaghi, però ne ho uno piccolissimo di cartone che ogni dicembre colloco accanto ad alcuni dischi: è un oggettino kitsch la cui provenienza attribuisco a una vecchia rivista. Mi pare che le feste comandate si comandino da sole, un po’ come un desiderio che possieda chi s’illuda di possederlo. Non ho regali da incartare né da aprire, però ho qualche presente per il mio presente: un caso di omofonia nel quale unisco l’utile al dilettevole.
Invece sulla falsariga dell’allitterazione ho la sensazione che tra certi addobbi vi siano degli addebiti, ma io vivo al di sotto delle mie possibilità in senso lato e dunque la questione non mi tange. Mando i miei migliori auguri laddove questi non possono arrivare, perciò con la speranza che mi tornino indietro affinché svelino quanto autoreferenziali siano. Resta poco di tutto alla fine della vita, alla fine della sera, alla fine dei saldi. Brindo alla tua, alla sua, alla mia, con una bottiglietta di Sprite poiché per me alle nozze di Cana andava benissimo l’acqua.

Francesco

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