Circa quattro settimane fa sono stato contattato da una casa editrice benché non sia stato io a sollecitarne l’interesse. Un’addetta della società in oggetto, forse mentre cercava istruzioni su come fabbricare ordigni artigianali, s’era imbattuta in un mio libercolo di qualche anno fa, Nuovo nichilismo solidale, e così, illico et immediate, mi aveva chiesto di inviarle il testo completo affinché un presunto comitato di lettura potesse valutarne un’eventuale pubblicazione.
Dopo una rapida ricerca sulla sua casa editrice avevo capito che si trattava di un editore a pagamento, ovvero un’entità verso cui nutro la stessa simpatia che gli azeri riservano agli armeni e viceversa. Per gentilezza e invero anche per curiosità avevo risposto quasi subito alla collaboratrice di cui sopra, avendo cura di specificarle come non fossi affatto interessato a condividere il rischio d’impresa con la sua azienda, ma a seguito di questa mia precisazione lei mi aveva invitato a spedirle comunque il PDF dello scritto poiché il presunto comitato di lettura ne avrebbe valutato una pubblicazione che non avesse richiesto contributi di sorta da parte mia.
Qualche giorno addietro, ormai quasi del tutto dimentico della circostanza testé raccontata, mi è giunta una telefonata da un tizio a cui la collega aveva passato la palla. La conversazione è stata rapida e indolore, ho persino reso edotto il mio interlocutore di come a mio avviso sia meglio spendere del denaro per la promozione di un’opera piuttosto che usarlo per l’acquisto di eroina, ma ho ribadito come non sia interessato alla faccenda poiché detesto tanto le illusioni quanto le droghe. Non pago di questa mia risposta, costui ha sottoposto alla mia attenzione una “proposta di contratto” tramite posta elettronica, perciò mi sono sentito in dovere di rispondergli a mia volta con un’epistola digitale che riporto di seguito.
Per me si tratta di una proposta irricevibile poiché sono contrario a qualunque forma di editoria a pagamento, ma questa mia posizione era già emersa nel corso della nostra telefonata.
Se il mio scritto fosse davvero valido e presentasse realmente una potenziale commerciabilità allora non sussisterebbe l’esigenza di condividere il rischio d’impresa.
Il vostro modus operandi è adottato anche da altri, tuttavia non è la prassi e posso affermarlo senza tema di smentita poiché conosco realtà editoriali, piccole e grandi, che non chiedono contributi agli autori. Comprenderei e accetterei finanche la proposta di un editore che mi chiedesse di rinunciare per sempre a qualunque diritto per lo sfruttamento commerciale dell’opera, ma per principio non sborserei mai del denaro di tasca mia a meno che non decidessi di investire su me stesso in piena autonomia.
Dieci anni fa, per il mio secondo libro, rifiutai l’offerta di un piccolo editore che mi chiese soltanto un modesto contributo per i bollini SIAE, ergo su questo punto sono inamovibile. Inoltre non ho mai avuto velleità da scrittore proprio perché conosco lo stato dell’arte (in senso lato e letterale) e difatti consiglio a chiunque di preferire la pratica dell’atletica leggera all’esercizio della cultura, giacché quest’ultima ormai s’è fatta asettico numero e solo in rari casi assurge allo stesso grado del bilancio aziendale.
Vi ringrazio comunque per l’interesse, vi porgo cordiali saluti e vi auguro un buon Sol Invictus.
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