28
Nov

Alla fine di novembre

Pubblicato sabato 28 Novembre 2020 alle 20:32 da Francesco

I primi freddi cominciano ad attanagliare i dintorni, ma le loro espressioni più secche e chete mi rinvigoriscono oltremodo. Sono alle prese con degli interessanti libri di saggistica e come al solito ricerco nell’atto stesso di leggere ad alta voce una forma di meditazione che sovrappongo a quella della corsa. Il continuo ripiegamento in me stesso mi concede il lusso di tollerare con maggiore facilità i trascurabili accadimenti che si moltiplicano sul piano della prossimità materiale e su quello della vicinanza astratta, ancorché io non ne risulti mai del tutto immune.
Il mio modo di vivere presuppone un richiamo vaccinale contro fatti e idee i cui possibili sviluppi sono destinati a esiti esiziali di diversa gradazione, ma la copertura non è mai completa né pretendo che lo sia. Talora non riesco a capire se io mi ritrovi in alcune situazioni per mio demerito, o se certe dinamiche mi si presentino come un compito da svolgere sull’accidentato iter della mia mutevole soggettività, tuttavia non escludo che a volte le due circostanze possano convivere con buona pace della mia inavvedutezza.
Non posso darmi un tono che non sia quello muscolare, ma tendo a svilire anche quest’ultimo con la mia devozione alla maratona, perciò di me rimane poco ed è comunque troppo. Questa constatazione non riguarda la mia autostima, ossia quello strumento di navigazione che manutengo con regolarità, ma al quale non ricorro oltre la misura di cui è capace. Insisto su di una ricerca endogena, perlopiù avulsa da ausili alieni, laddove tale aggettivo si adatti anche a me rispetto agli altrui mondi interiori. Le faccende umane si riassumono spesso in una questione di prospettiva, anche quando quest’ultima descriva la pavidità con cui gli individui sanno girarsi dall’altra parte, qualunque sia la direzione altra. Non ho aggiunto granché in queste righe di testo, tuttavia almeno qualche lucina natalizia avrei potuto mettercela. Crepi l’avarizia e non solo lei.

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15
Nov

Zona rossa e incolore

Pubblicato domenica 15 Novembre 2020 alle 17:04 da Francesco

Tace tutt’attorno l’urbe e nei suoi punti nevralgici; polso debole, coma vigile: gli uni sono sedati e gli altri pure. L’attuale realtà è velata d’un silenzio imperfetto ma egemone di cui al contempo apprezzo il dominio e disistimo le cause formali. Un lieve vento di cui ignoro la provenienza allieta questa domenica vermiglia, però non mi suggerisce nulla di nuovo poiché quest’oggi neanche il Sole, come sempre d’altro canto, illumina qualcosa d’inedito.
Assorto nei miei pensamenti e nei piccoli svaghi, mi staglio su una prospettiva indefinita e non riesco a proiettare forme sul futuro che possano definire le linee abbozzate di un qualsivoglia orizzonte. Hic et nunc non c’è un ponte radio con l’avvenire, non sono in grado di prevedere gli incroci che mi attendono né se effettivamente più in là ve ne siano, però sono pervaso da una coriacea serenità la quale, al momento, non risente delle piccole ammaccature di cui gli agenti atmosferici e gli eventi umani sanno essere cagione.
Non sono votato ad altra ricerca che non sia quella interiore, ma essa però si ripercuote al di fuori del suo campo d’indagine e forse è anche attraverso un tale sconfinamento, per mezzo dell’eterogenesi dei fini, che questa trova un parziale compimento sulla scorta del quale il processo si rinnova nei suoi limiti ultimi e si configura dunque come interminabile per sua stessa natura. Nella perenne ecatombe di senso io non cerco la resurrezione di ciò che forse non ha mai avuto sostanza né essenza, bensì mi limito a passeggiare sulle fosse comuni di frasi che furono e di cui il tempo non serba né i resti semantici né i segni d’interpunzione. Non ho stretto promesse perché non è mio costume usare violenza verso terzi e dunque lascio ad altri l’onere di soffocare gli impegni presi nelle loro puntuali inadempienze. Saluto i controsensi perché spesso viaggiano in direzione contraria alla mia, ma talora c’incolonniamo a mio detrimento.

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7
Nov

Un incontro onirico

Pubblicato sabato 7 Novembre 2020 alle 00:30 da Francesco

Mi sto ponendo con forte insistenza alcuni quesiti sull’attività onirica, poiché mi porto ancora dentro il dubbio se essa abbia una sua realtà autonoma o se invece si tratti soltanto di un epifenomeno biologico. In un sogno recente mi sono ritrovato a conversare con una giovane donna e da quel momento alberga in me la sensazione che io debba incontrarla di nuovo, però non ho idea di come possa presentarmi a un secondo rendez-vous.
Dubito che esistano in commercio dei navigatori satellitari per altre dimensioni, ma qualora dovessi ritrovarmi da quelle parti non saprei comunque a chi chiedere indicazioni. Non ho idea di come io possa giungere a un appuntamento che sfugge alla convenzione del tempo ordinario. Mi mancano i riferimenti, non ho una mappa né un numero verde da comporre con il pneuma, eppure dev’esserci un modo tramite cui mi sia dato di ritrovare quelle coordinate tutt’altro che euclidee. Ogni stato di sonno costituisce per me una ricerca di quella ragazza, o almeno del punto in cui ci siamo incontrati, ma la mente mi porta altrove, come se fosse un furbo tassista e fingesse di non capirmi per allungare la strada sbagliata. Può darsi che alla fine sia importante lo sforzo e non già la meta, tuttavia voglio parlare di nuovo sul piano sottile con quella giovane e incontrarla mentre risulto incosciente a livello grossolano.
Mi rendo conto di quanta poca dimestichezza ancora io abbia in ogni stato diverso da quello vigile, ma in una tale inadeguatezza ravviso più stimoli che frustrazioni e conto di migliorare il mio senso dell’orientamento laddove la rosa dei venti non indica alcunché.
Mi domando se la bussola migliore non sia la necessità che pulsa al mio interno, quell’elemento intangibile del quale fatico a dare finanche una forma scritta, ma la cui portata è immensa ed empirica, almeno fino a un certo grado. Insisto a occhi chiusi.

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2
Nov

Addobbi per il disincanto

Pubblicato lunedì 2 Novembre 2020 alle 00:48 da Francesco


Non ripongo la mia fiducia in nulla, non stabilisco alleanze, non seguo correnti e non sono disposto a mettere la mano sul fuoco o sul cuore per nessuno, nondimeno si prospettano tempi assai interessanti, suggestivi, incerti, di certo imputabili alle puntuali emanazioni della legge di causa ed effetto che vige su ogni aspetto della realtà impropriamente detta. Ogni evento continua ad apparirmi come un epifenomeno di facile spiegazione benché a volte possa risultare difficile da accettare, ma forse agli accadimenti viene talora attribuita una difficoltà interpretativa affinché la loro ricezione risulti più tollerabile, come in un goffo tentativo d’indorare la pillola: in tutto ciò la parola presta i propri servigi a buon mercato e all’apparenza può sembrare più conveniente dell’onestà intellettuale o delle esose richieste d’una profonda introspezione. Ognuno fa i conti con se stesso.
In quest’epoca di savi distanziamenti non credo che sia il caso di abbracciare acriticamente la prima consolazione a portata d’inganno, ma in realtà neanche una che che consegni se stessa a domicilio. Sono sospeso tra vari cambiamenti che convergono da ogni parte verso di me e me ne attendo altri da cui non ricevo nemmeno un avviso. Non so a chi rivolgermi per farmi consegnare tutto all’ultimo stadio. Ogni mutamento rientra nella categoria dell’usato garantito e non si può restituire al mittente a meno che non ci si rechi in filiale di persona, o meglio, di pneuma. Invece di dimenticare tutto è opportuno ricordare di quale risma è questo pianeta affinché la prossima incarnazione si svolga altrove: questo me lo devo appuntare da qualche parte, forse sulla ghiandola pineale.

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