Ieri i miei ritmi circadiani sono stati sconvolti e suppongo che questo brusco cambio di ritmi sia stato all’origine della raffica di sogni che ho esperito nel pomeriggio, ma di cui alla fine sono riuscito a conservare solo i frammenti di un singolo episodio.
Mi sono ritrovato in un sorta di mansarda e davanti a me v’era una vetrata triangolare su cui campeggiavano delle linee dorate, come se fossero state aggiunte con lo scopo di rendere fattibili certe misurazioni: attraverso questa finestra riuscivo a vedere i tetti della metropoli e all’orizzonte non scorgevo un edificio più alto di quello da cui lanciavo lo sguardo.
A un certo punto ho aperto una porta e ho messo piede in una sorta di corridoio esterno. Alla mia destra si trovavano le persiane di un’altra casa e davanti a me un’altra abitazione ancora: da una finestra di quest’ultima è apparsa in lontananza una donna nuda e appena l’ho vista in me è scattato un moto di pudicizia che mi ha fatto tornare all’interno della mansarda.
Mi sono messo a letto e dopo un po’ di tempo, non so quantificare quanto, ho ricevuto un colpo alla parte destra del petto che io ho pensato fosse una coltellata, ma in realtà è stato come un pugno fortissimo di cui per altro, non so come, ho intuito l’arrivo: appena è accaduto tutto ciò io mi sono svegliato immediatamente (per davvero) con un forte senso di angoscia.
Mi avventuro in una delle possibili interpretazioni di questo sogno, ma come al solito lo faccio senza alcuna pretesa e con lo scopo precipuo di non lasciare nulla d’intentato.
La mansarda forse rappresenta una sorta di torre eburnea, un luogo di ritiro al di sopra del mondo, un simbolo di isolamento, e lo inquadro in questo modo poiché trascorro molto tempo da solo, immerso tra i miei interessi solipsistici. La porta che a un certo punto apro, quella che dà su un corridoio esterno, secondo me dev’essere intesa come gli sporadici affacci sulle altrui esistenze su cui però non mi trattengo. La donna in vesti adamitiche, quindi nuda, è l’oggetto di un desiderio archetipico, immanente alla mia natura, ma anche motivo di repulsione per ciò che può implicare. Il colpo che ricevo nel sonno è quello dell’inconscio, come se mi punisse poiché non ne assecondo a sufficienza le istanze, difatti mi colpisce a destra e non a sinistra (dove risiede il cuore) perché comunque io gli servo vivo, ma nel sogno per un attimo mi sembra di morire e quindi di essere assassinato.
In buona sostanza la storia è sempre la stessa. Rigetto i bisogni naturali d’affetto e contatto muliebre poiché il loro soddisfacimento è rischioso, precario e inconcludente, ma la mia natura d’essere umano reclama se stessa laddove può farlo, ovvero in una dimensione onirica su cui io non posso avere controllo e forse quest’ultimo è rappresentato dalle linee dorate che si trovano sulla vetrata della mansarda, quasi vi fossero state apposte per misurare qualcosa.
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