Sto cominciando a ritornare in forma. Non mi alleno tutti i giorni per consentire al corpo di recuperare in modo adeguato tra uno sforzo e l’altro. Ieri sono riuscito a mantenere un passo di 4’52” al chilometro per quindicimila metri con qualche salita dura: è già qualcosa. Sono ancora giovane per le gare di fondo, ma in Italia in generale si viene ritenuti tali fino all’andropausa.
Ho ancora una decade a mia disposizione per migliorare i miei tempi su tutte le distanze, ma invero ho bisogno della corsa per dettare il ritmo a un’esistenza che non voglio oberare di cose inutili e deleterie. Non so quando sarà di nuovo possibile gareggiare, ma spero di essere comunque pronto per l’autunno. La sedentarietà della quarantena ha aumentato i miei fastidi a livello inguinale, perciò sto ponendo più enfasi sull’allenamento in salita e sugli esercizi di allungamento per adduttori e psoas.
Non so neanche se tra sei mesi sarò ancora in Italia (in parte spero di no), ma a meno che non accada qualcosa d’imprevedibile (circostanza tutt’altro che improbabile) sarò più veloce di adesso.
Malgrado le tante gare, lunghe, intense e ravvicinate, la mia storia atletica non è mai stata costellata da infortuni veri e propri, perciò faccio affidamento su questa mia dote naturale per alimentare un’indispensabile costanza, l’unica chiave di accesso e di eventuale successo, specialmente nel mondo del podismo.
A prescindere dalle implicazioni statistiche e agonistiche, la corsa si dimostra ancora una volta la mia più fida alleata nel contrasto alle avversità , uno strumento potente con cui posso farmi strada sulla fredda linea del tempo fino alla mia fine biologica: il resto passa in secondo piano, come tutto d’altro canto.
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