Le mascherine chirurgiche vanno a ruba come le anime e mi chiedo quanto siano quotate le seconde sul mercato nero. La povertà e il disagio sociale crescono sani e forti, orgoglio di mamma e papà, di economia e Stato. Nell’aere si propagano i suoni delle campane, i rumori intermittenti degli orologi biologici che annunciano la menopausa, le ciarle delle vajasse e le sirene delle ambulanze.
La mia esistenza è combattuta tra un’inclinazione verticale e le prosaiche questioni che si dispiegano sulla linea delle ascisse, ma la mia traiettoria non ha ancora un angolo fisso. Mi trovo in una terra di nessuno per la quale mi sento eponimo: vago incerto con il carico delle mie considerazioni. Non riesco a capire cosa io debba fare né se sia davvero necessario che io faccia qualcosa, perciò attualmente mi attengo al principio dell’inazione ottimale. D’altro canto mi sono reso conto come in svariate situazioni l’opzione migliore sia quella di non agire, ma allo stesso tempo ho anche capito quanto sia difficile ricorrervi poiché mi pare che la natura dell’essere umano tolleri poco l’immobilità. Non credo che una scelta debba sempre essere presa e talora si può scaricare su costei l’onere della propria concretizzazione, tuttavia sono consapevole dell’irresistibile fascino di cui è portatrice ogni volizione. Non mi lascio scorrere le cose addosso perché non voglio macchiarmi, perciò le guardo fluire a debita distanza e ne odo il cacofonico sciabordio. Non mi pesa l’assenza di pesi, ma troppa leggerezza rischia di strapparmi anzitempo alla gravità terrestre e ogni tanto anche in me si affaccia la tentazione di esistere. Le cose sono più semplici di come io le dipinga e talvolta persino un estremo riduzionismo dà conto della loro bicromia, con buona pace degli altri pastelli e dei loro pasticci.
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