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Il vago senso del presente

Non risparmio a me stesso le sciocchezze e la superficialità, anzi, vi ricorro sovente per sfumare le mie giornate. Nel corso della quarantena non ho mai discusso con le pareti della mia stanza, perciò il nostro rapporto ha resistito alla convivenza: io carne, loro cemento.
In qualche attimo d’incertezza mi prendo troppo sul serio e solitamente per rimediare a tali esagerazioni sgonfio l’iperbole di turno, ma al contempo dentro di me si dispiegano spontanee l’esigenza e la ricerca di una coscienza più elevata. Sono sempre meno legato alla mie sembianze viventi, ma non le depreco e continuo a custodirle come se formassero un tempio sacro. Su questo mondo c’è ampio spazio per me, tuttavia non sono così convinto di volerlo occupare. A volte la migrazione spirituale mi tenta oltremodo, ammesso e non concesso che un’espressione del genere significhi qualcosa, ma non sono ancora pronto ad abbandonare questo pianeta e al momento neanche lo desidero. L’esistenza assomiglia a un limbo tra il nulla e il nulla o tra quest’ultimo e la sua vera antitesi, ma simili azzardi del pensiero sono destinati a restare astrazioni senza capo né coda, acefale per diritto di caducità. Areare prima di soggiornare: forse il buco dell’ozono andrebbe allargato di proposito prima dell’arrivo dei nuovi inquilini.
Mi rasserena l’ozio dei gatti e se fossi più saggio impiegherei tutte le mie risorse per adattarlo a quanto d’umano ancora porto in dote. Non voglio muovere un dito neanche per firmare la resa all’avvenire. Lascio che tutto o quasi accada, come se avessi organizzato le ferie cosmiche su una zattera alla deriva, ma ho come compagna di viaggio una forza sopita al cui risveglio non posso oppormi.

Francesco

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