Ieri pomeriggio ho visto per la prima volta Professione: reporter di Michelangelo Antonioni e l’ho apprezzato molto. All’inizio, per circa venticinque minuti, non vi sono veri e propri dialoghi, ma solo stupende inquadrature e il carisma di un giovane Jack Nicholson che interpreta un giornalista stufo della propria esistenza. L’altro personaggio è un trafficante d’armi con cui Nicholson, ovvero David Locke, interagisce durante un soggiorno in Africa e della cui identità si appropria quand’egli muore improvvisamente. In questa cornice pirandelliana David Locke diventa David Robertson e quando rimpatria sotto tali mentite spoglie si assume in toto la vita del suo “predecessore”: a questo punto, secondo me, il film assume i contorni di una spy story perché il vecchio Locke si trova a viaggiare per i loschi affari del vecchio Robertson.
In questo girovagare, dove la regia restiutisce ambienti e atmosfere meravigliosi, irrompe sulla scena una donna che Nicholson incontra a Barcellona in un palazzo di Gaudì e con la quale comincia una liaison. Nel frattempo la tensione del film è mantenuta viva dalla vecchia vita di Locke che insegue il nuovo Robertson, infatti la moglie e un ex collega del primo cercando il secondo poiché è stato l’ultimo a vedere… Locke! È una pellicola stupenda.
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