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Una pandemia per amica

Da alcuni giorni nell’etere e nei miei dintorni aleggia un clima da sagra dell’Apocalisse, ma io continuo a non capire dove si faccia la fila per l’estinzione di massa. L’irrazionalità umana si staglia sulle paure archetipiche della mia specie e costringe taluni ad assumere comportamenti inconsulti. Credo che l’individuo e la collettività siano speculari sotto certi aspetti, quindi l’analisi dell’uno può svelare qualcosa dell’altra e viceversa. La soggettività non gode di un esclusivismo assoluto, ma solo di uno relativo e fuorviante.
Il senso dell’esistenza terrestre non ha qualcuno o qualcosa a cui rendere conto nel resto dell’universo, perciò è autoreferenziale in maniera subdola e si appunta surrettiziamente presupposti teleologici che non hanno altro riconoscimento al di fuori del proprio. Se mi ponessi troppi dubbi finirei per pormi quello del loro numero. In queste ultime righe ho divagato dal tema principale, ossia quello che possiede il patrocinio del panico e della stupidità, però la mia assenza temporanea può contare sulla giustificazione scritta dalle scempiaggini altrui. Qualcosa di veramente virale è diventato virale: molteplici accezioni, nessuna eccezione, praticamente un en plein. I momenti peggiori forse sono i più veritieri, ma poiché al peggio non c’è mai fine immagino che la verità non mostri mai di sé una nudità integrale. Forse nel vaso di Pandora c’è una razione K per l’introspezione, ma non è detto che tutti la possano digerire. Una pandemia può rivelare o ricordare molto degli esseri umani agli… esseri umani; quanto ciò sia utile non sono in grado di affermarlo poiché la storia si ripete con pervicace insistenza.

Francesco

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