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L’accettazione della mia mediocrità

Per molto tempo ho cercato di scoprire se in me si nascondesse un talento particolare, se ci fosse qualcosa che mi riuscisse davvero bene, un ambito a cui votarmi con tutto me stesso, ma dopo anni di ricerche e tentativi non ho trovato nulla di simile.
Me la cavo in campi diversi, però a torto o a ragione mi considero appena sopra la media e non riesco a sviluppare le mie capacità fino all’eccellenza. Compenso l’assenza di un’inclinazione naturale con la costanza, ma non cado nella banale tentazione di vedere in quest’ultima quel talento che reputo convintamente di non possedere e verso il quale non nutro l’illusione di un improvviso affioramento.
Forse il quadro sarebbe stato peggiore se avessi avuto grandi capacità e mi fosse mancata la costanza per coltivarle, difatti se ciò fosse accaduto avrei dovuto riconoscermi un talento, certo, ma aggettivato nel peggiore dei modi: sprecato.
Mi sento giunto alla fine di un percorso perché d’ora in poi non dovrò più indagare o investire energie in questo senso, tuttavia la ricerca ha avuto un significato in se stessa e non nella sua inarrivabile meta, un po’ come l’idea di fondo che non di rado sottende il concetto di viaggio e ne costituisce l’essenza ultima. Non mi farò mancare gli stimoli per il tempo che mi resta da vivere, però non cercherò in loro più di quanto mi consentano le mie possibilità: la retorica sul superamento dei propri limiti è, appunto, mera retorica. Posso migliorarmi, non eccellere e questa differenza per me non è banale come può apparire a qualcun altro.

Francesco

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