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Il senso di smarrimento

Mi muovo con una certa pesantezza in queste giornate autunnali che ogni tanto si mascherano da torrida estate. Sono spaesato, mi sento un po’ perso, in sospeso, privo di una direzione o di una vaga idea su cosa fare di preciso, inoltre non ricordo quale sia il numero verde (o nero) per l’assistenza all’esistenzialismo.
Dovrei denunciare la mia scomparsa e partecipare alle ricerche. Dovrei fare un appello per il mio ritrovamento o quello in una classe vuota per confermare la mia assenza. Dovrei addolcire le mie risate amare e condividerle con un diabetico. Non so cosa passi per la testa agli altri, ma immagino che a volte siano pensieri e altre pallottole di piccolo calibro. Non vedo il futuro perché il segnale è disturbato o forse l’antenna non è orientata bene, perciò mi accontento delle repliche in VHS o di uno schermo nero a cui devo riconoscere un grande proprietà di sintesi.
Se avessi qualcosa da dire disegnerei due orecchie su una parete. Mi viene da ridere perché mi piace rileggermi. Oltre a me stesso ho anche perso il filo del discorso, ma più che un oggetto smarrito lo considero tempo perso. Se mi trovassi nella stanza dei bottoni penso che la cospargerei di croccantini e poi aprirei la finestra per invitare tutti i gatti del circondario a zampettarci.
Insomma, non mi è chiara l’oscurità iniziale e mi risulta oscura la chiarezza di questo parte, ma non voglio farmi troppe domande perché tengo più alla linea che ai punti interrogativi. Non so davvero come finirà, ma di certo finirà. C’è un po’ di confusione tutt’attorno e dentro me, o forse sono io che non riesco a cogliere un’altra forma d’ordine, come quando mi volgo verso lo zenit e colgo stormi di uccelli che si librano in formazioni asimmetriche.

Francesco

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