Mi muovo con una certa pesantezza in queste giornate autunnali che ogni tanto si mascherano da torrida estate. Sono spaesato, mi sento un po’ perso, in sospeso, privo di una direzione o di una vaga idea su cosa fare di preciso, inoltre non ricordo quale sia il numero verde (o nero) per l’assistenza all’esistenzialismo.
Dovrei denunciare la mia scomparsa e partecipare alle ricerche. Dovrei fare un appello per il mio ritrovamento o quello in una classe vuota per confermare la mia assenza. Dovrei addolcire le mie risate amare e condividerle con un diabetico. Non so cosa passi per la testa agli altri, ma immagino che a volte siano pensieri e altre pallottole di piccolo calibro. Non vedo il futuro perché il segnale è disturbato o forse l’antenna non è orientata bene, perciò mi accontento delle repliche in VHS o di uno schermo nero a cui devo riconoscere un grande proprietà di sintesi.
Se avessi qualcosa da dire disegnerei due orecchie su una parete. Mi viene da ridere perché mi piace rileggermi. Oltre a me stesso ho anche perso il filo del discorso, ma più che un oggetto smarrito lo considero tempo perso. Se mi trovassi nella stanza dei bottoni penso che la cospargerei di croccantini e poi aprirei la finestra per invitare tutti i gatti del circondario a zampettarci.
Insomma, non mi è chiara l’oscurità iniziale e mi risulta oscura la chiarezza di questo parte, ma non voglio farmi troppe domande perché tengo più alla linea che ai punti interrogativi. Non so davvero come finirà, ma di certo finirà. C’è un po’ di confusione tutt’attorno e dentro me, o forse sono io che non riesco a cogliere un’altra forma d’ordine, come quando mi volgo verso lo zenit e colgo stormi di uccelli che si librano in formazioni asimmetriche.
A volte mi sembra di essere giunto a un punto morto e non c’entra nulla l’imminenza del due novembre, però quest’impressione non desta mai al mio interno uno sconforto profondo e anzi, talora porta in dote un’edificante rassegnazione. Comunque non spetta a me riconoscere l’arrivo in un vicolo cieco e, tutt’al più, posso sfruttare la possibilità di ipotizzarlo per sbaglio in ragione dell’erroneità a cui il libero arbitrio è aduso.
Non intravedo certezze su cui poggiare o da cui spiccare un grande salto: tutt’attorno ogni cosa e ogni concetto mi paiono precari e pericolanti: se dipendesse da me transennerei res extensa e res cogitans.
Ogni epoca ha punti di contatto con le sue omologhe pregresse, come se fossero sorelle, perciò l’apparenza di unicità è del tutto illusoria e fa leva sul carattere attuale di quella che, di volta in volta, risulti la prescelta del presente, passeggera concubina di un harem cronologico. Non c’è nulla di cui debba temere e la realtà si produce nella mia testa in una quantizzazione che i limiti della mia specie m’impediscono di cogliere, ma a parte quest’ovvietà non ho grandi spunti con cui giustificare al momento la piattezza dei miei orizzonti. L’esistenza procede con il suo passo e non le si può addossare la colpa di chi non la segua a tempo o ne rifiuti proprio il ritmo: io non ho mai avuto passione né predisposizione per il ballo.
Prima o poi qualcosa accadrà a differenti livelli, compreso quello in cui mi trovo, ma non posso davvero prevedere la natura degli eventi futuri ed è anche per questo motivo (oltre al fatto di non berlo) che non mi presto alla lettura dei fondi di caffè.
Un po’ di tempo fa ho saputo che un hacker di mia conoscenza ha lasciato il corpo e così ho deciso di dedicargli ogni futuro ascolto di questi due grandi album di cui anch’egli era un estimatore.
Immagino che anche lui abbia avuto le sue contraddizioni, i suoi alti e bassi, come tutti, ma io lo ricordo solo come una figura di forte ispirazione nella mia adolescenza, una di quelle da cui ho intuito quanto la curiosità verso tutto lo scibile celi talora mondi interiori dalle profondità insondabili.
Per me la morte è solo un salto quantico, un passaggio di stato nella pletora dei multiversi, perciò auguro al grande P. un buon attraversamento del Bardo e una felice metempsicosi; e chissà non ci si ritrovi al prossimo giro di giostra nell’aion o nel kronos.
A un certo punto su “The Light Dies Down On Broadway” (quart’ultima traccia di “The Lamb Lies Down On Broadway”) Peter Gabriel canta:
”Is this the way out from this endless scene?
Or just an entrance to another dream?”.
C’è solo una minoranza al mondo per cui simpatizzo ed è quella curda. Si tratta di un popolo fiero, senza terra, che combatte da sempre contro tutti. Di tanto in tanto vado a riguardarmi il filmato in calce a queste righe nel quale una bella ragazza cerca obiettivi con il suo Dragunov e sorride alla pallottola che la manca di poco. I curdi hanno combattuto sul campo quelle merde di Daesh e anche le donne dell’YPJ hanno ucciso tanti sgherri di al-Baghdadi, perciò l’Occidente ha un grosso debito nei loro confronti. Trump non è un interventista, di conseguenza la sua decisione di ritirare le truppe dalla Siria è coerente con quanto ha sempre dichiarato prima e dopo la sua elezione, nondimeno a me dispiace che gli Stati Uniti abbiano tradito i curdi poiché così essi sono stati lasciati soli da tutti in una lotta ìmpari contro turchi e jihadisti, perciò spero che sia proprio una donna curda a ficcare un proiettile nel cranio di Erdogan.
Una parte dell’Occidente tende la mano a gente che vuole prendersi tutto il braccio, spesso ingrata e violenta, mentre limita a frasi di circostanze il suo aiuto verso chi ha contenuto l’avanzata degli estremisti islamici. Ci sono migliaia di individui che millantano di fuggire da presunti conflitti e sono accolti da perfetti imbecilli ai quali, per interesse economico o mera idiozia, non preme la verità, però non ravviso la medesima partecipazione verso chi una guerra la combatte davvero e in parte lo fa anche al posto di altri. Per me il popolo curdo è un esempio di coraggio e abnegazione.
Stanno continuando a tornare in me tutte le forze d’ogni ordine e grado, un controesodo assai benevolo, perciò mi aspetto una forte resistenza ai tempi oscuri che si prospettano nell’immediato futuro e di cui già da molto tempo ho previsto l’avvento. Credo che spesso non occorra un corso serale di chiaroveggenza per intuire quanto si trovi dietro l’angolo, ma può essere utile un tirocinio nell’Averno per sopportarne il peso passeggero o, diversamente, un apprendistato con un’aquila da cui trarre la capacità di apprezzarne la leggerezza, anch’essa caduca.
Assecondo movimenti interiori che mi paiono del tutto alieni alle esistenze che talora mi capita d’incrociare e attraverso le quali passo come se camminassi sotto degli archi a tutto sesto. Le parole perdono di valore nel momento in cui sono raccolte dai sensi poiché vengono sradicate dal loro significato primevo. Ci sono strade che non s’incrociano perché passano le une sopra o sotto le altre. Provo una certa insofferenza verso taluni incroci, perciò quando mi ci trovo preferisco un decollo verticale. Ogni problema è un falso problema, quindi le avversità sono irreali come la dimensione su cui si propagano. Il tempo leviga ogni cosa e il compimento di qualsiasi evento è soltanto un gioco d’attesa a cui si presta chiunque non sappia rinunciare al suo posto nel mondo.
Non raccolgo energie per attaccarmi all’esistenza in modo parassitario, ma cerco d’impiegarle per orbitare a distanza di sicurezza da tante situazioni che non mi riguardano né per prossimità fisica né per empatia. Preferisco riempire certi vuoti con altri vuoti come se giocassi con matrioske di una sola misura. Non esiste un fine ultimo nella finitezza e trovo comico ogni tentativo che sia volto al suo perseguimento, ma non indugio mai troppo lo sguardo sull’altrui goffaggine: è uno spettacolo antico quanto lo è la coscienza, qualunque cosa sia quest’ultima. Si annida una grande vittoria nella resa all’inconfutabile incompiutezza d’ogni trascorso terrestre, ma io mi limito a spiegarlo a me stesso perché sono il mio studente prediletto nonché l’unico possibile.
Sono molto legato a “The Book Of Secrets” perché lo annovero tra quei primi ascolti reiterati che mi hanno introdotto alla melomania: correva l’anno 1997 (quello della sua pubblicazione) e avevo già speso tredici estati su questo pianeta.
Per i miei gusti questi dischi richiedono più di altri un ascolto in cuffia, ma se vivessi in una casa isolata nella contea di Donegal forse preferirei dare loro libero corso tramite un buon impianto, magari sedendo in una veranda prospiciente l’Atlantico.
”Nights From The Alhambra” è l’album che prediligo nella discografia della McKennitt e uno dei miei live preferiti in assoluto perché sublima la produzione in studio. Le mie sono ristampe economiche in 180 grammi, ma tutte numerate perché fanno parte di una tiratura “limitata” a diecimila copie.
Quasi certo del suo inutilizzo, ho comunque sviluppato un sorta di test muliebre che si basa sulle risposte nistagmiche all’ascolto di tre tracce in questo preciso ordine: “Standing Stones” da "Parallel Dreams”, “The Highwayman” da “The Book Of Secrets” e “All Souls Night” da “The Visit”.
Mi sento pronto per provare ad allinearmi a una scia di progressi che paziente e immota mi attende nell’unica direzione ove il tempo si dirige. Conclusasi una certa stasi, avverto in modo inequivocabile i prodromi di tutto ciò che accadrà, ma devo ancora entrare a pieno regime su quest’ordine idee. La chiave non è di violino né di basso, ma resta sempre quella solipsista e quindi il mio non è né un ballo di coppia né di gruppo.
Non mi considero un cane sciolto perché amo soltanto i gatti e con un numero considerevole di loro intrattengo rapporti di cordialità ancorché tra noi non ci sia mai uno scambio di lettere né messaggi. Devo recuperare un po’ di forze, tuttavia già ne avverto l’incombente ritorno in lontananza. Quando i tempi saranno maturi, le intenzioni prenderanno forma e colore. Sono consapevole di quanto siano inevitabili, nondimeno odio i cali di potenza e al contempo mi ritengo fortunato perché sono in grado di decifrarne la ciclicità.
L’immediato futuro non si annuncia positivo e sul suo crinale serpeggiano forze avverse da cui mi devo guardare, ma conto d’aprire una breccia in quell’ammasso di giorni che per ora non riesco a vedere a occhio nudo. Non devo credere nei miei mezzi, ma sono loro che devono riporre la massima fiducia in me come già faccio io. Le mie grandi manovre non conoscono alleanze e, per quanto mi riguarda, ogni testa può rotolare per terra finché non si tratta di quella che porto sulle spalle.