Premo una mano contro il vuoto e così arresto il cuore pulsante della notte per fermarmi sulle sue pareti, incurante della giovinezza che gli attribuisce chiunque s’illuda di allungargliela con il ricorso a siffatte adulazioni.
Ho bisogno di conferire in privato con l’universo e posso farlo ovunque perché in questo periodo mi sento di nuovo tutt’uno con esso. Le mie parole, le mie azioni e i miei pensieri non hanno incertezze e si muovono con reciproco rispetto delle dovute precedenze. Non posso aspettarmi che questo stato duri per sempre, ma posso fare il possibile per continuare ad alimentarlo e sulla consapevolezza delle sue intermittenze devo coltivare l’abilità di affrontare i futuri scontri con le forze contrarie. Forse proprio il mio attaccamento verso questa condizione di grazia dimostra come io non sia ancora all’altezza di trattenerla o d’esserne trattenuto. Mi sento rapito da un principio superiore che si origina da me e in me ricade, ma non è una suggestione passeggera né un inganno dei sensi: ne conosco la natura in quanto essa ha già permeato le fasi migliori della mia esistenza e pare che adesso la ammanti di nuovo.
Non so come si conservi ciò che è intangibile e al contempo avulso dai processi mentali, ma compirei già una grande impresa se riuscissi a descriverlo con la povertà delle parole. Non c’è modo di condividere ciò che in potenza già appartiene a tutti e di cui ognuno può fare solo una personale esperienza, o almeno questo è quanto intuisco.
Gioia e commozione risuonano e prorompono dal plesso solare, infine si allargano come se fossero dischi planetari a misura d’uomo, ma cosa mai posso scriverne? Forse la durata di certi fenomeni ha importanza fintantoché sussiste il concetto stesso di durata. Non cerco artifizi nelle elucubrazioni e il mio vandalismo diaristico si è protratto sin troppo.
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