L’incendio che è prorotto da Notre Dame mi ha ricordato ancora una volta la caducità di tutte le cose umane. La breve storia della mia specie si annida in simboli, edifici e opere di vario genere su cui il tempo sedimenta i significati del passato.
In un lontano futuro anche la Terra verrà avvolta dalle fiamme e non rimarrà nulla di codesto proscenio dal nucleo di ferro, tuttavia mi chiedo se quello spettacolo d’estinzione avrà degli spettatori come in queste ore se ne adunano sulle rive della Senna, magari a bordo di navi spaziali approntate all’uopo con vista sul disastro o, per i meno facoltosi, con gli occhi incollati a potenti telescopi.
Anche il dispiacere e lo struggimento sono passeggeri, proprio come lo sono le loro controparti, ma è comprensibile che tanto gli uni quanto le altre si avvicendino in testa (anch’essa effimera nella sua duplice accezione) in pieno accordo con le circostanze: il presente non fa altro che consegnare corone d’alloro agli stati emotivi. Tutto ciò mi porta alla mente un passaggio de “Il libro tibetano dei morti”, secondo il quale l’acqua si estingue nel fuoco e quest’ultimo nel vento, ma la mia immaginazione mi propone anche le pire sul Gange e le loro volute di fumo.
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