Negli ultimi sette giorni ho corso molto, quasi centocinquanta chilometri, e mi sono divertito altrettanto. L’attività fisica in solitudine mi espone sempre a un flusso spontaneo di pensieri verso i quali non avanzo mai pretese.
L’attività mentale durante certi sforzi, anche nel corso dei più blandi, mi appare sempre a una certa distanza, come se io la mantenessi davanti a me di alcuni metri, e dunque in questa condizione posso esserne al contempo lo spettatore oltre che il proiettore. Ne concludo che ancor oggi la corsa costituisca la mia forma privilegiata di meditazione e ho ragione di credere che sia destinata a rimanere tale per molto tempo: con tutta probabilità risiede in questo il motivo maggiore dietro cui mi risulta possibile coprire determinate distanze senza sviluppare noia né insofferenza. Gli effetti positivi dell’attività psicomotoria alimentano la mia costanza e ne consegue un ciclo virtuoso che può avere dei rallentamenti o degli adattamenti alle circostanze, ma mai un arresto volontario.
Complice la giovane primavera e forse una militanza di lunga data presso me stesso, quest’oggi non mi si è presentata una prima visione tra le mie riflessioni itineranti, bensì la replica di considerazioni a cui già innumerevoli volte ho dato libero corso: un po’ come i film trasmessi d’estate sulle emittenti più diffuse. Non mi va di scendere in dettagli perché ho già fatto le scale e poi sono sempre gli stessi delle puntate precedenti, però mi riservo di farlo alla prossima riproposizione. Ho molte cose da dire e da scrivere, tuttavia aspetto che si alzi il vento per riferirgliele.
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