Quasi un anno fa mi recai nella città eterna e, in un’umida sera alle porte dell’estate, gareggiai tra le strade capitoline. Una volta all’arrivo in Piazza del Popolo mi diedi una pulita di fortuna e m’incamminai alla volta del ponte Regina Margherita: là vidi per la prima volta una ragazza con cui negli anni precedenti mi ero immerso in lunghe conversazioni, talora al limite dell’assurdo, talora al culmine del piacere. Sapevo benissimo come la natura e le sue abitudini ne avevano modellato le fattezze, nondimeno la sua beltà mi colpì lo stesso.
Avevamo improvvisato quel rendez vous in ragione della reciproca curiosità, ma io non la feci sentire desiderata come in seguito ho immaginato che si aspettasse. Rammento qualche passo a Villa Borghese, un gelato mediocre che mi fu offerto e il cui consumo avvenne con somma celerità, ma anche dei bei gatti randagi e una crescente insofferenza da parte della sventurata di cui sopra. Non cercai il contatto fisico perché volevo conoscerla davvero, sapere chi fosse in un contesto avulso da quello digitale, ma questa mia condotta la indispose. Più ci ripenso e più ci rido perché fu un tentativo di sdrammatizzare che si risolse in una comica grottesca
Non ho mai avuto relazioni sentimentali né rapporti carnali, condizione di cui non faccio mai mistero nelle rare volte in cui io mi ritrovi a interloquire con una ragazza, perciò da me nessuna può aspettarsi determinate iniziative. Non sono un maschio alfa in questo ambito. Ho un modo particolare di rapportarmi con l’altro sesso, ma forse il mio è più indicato per il cabaret e favorisce meno quanto si trovi al di là di una simpatia passeggera o di un’infatuazione.
Perlomeno questa storia prova come io non escluda alcune possibilità, ma conferma anche quanto finisca per non risultare mai la persona di cui l’altra è alla ricerca: sono proprio un pasticcione. Recentemente ho provato a tornare in contatto con la ragazza della storia, ma i miei timidi messaggi si sono infranti su un muro di silenzio e quindi ho lasciato perdere: la ricorderò per sempre.
Le cose non vanno sempre come qualcuno spera che vadano, ma ce ne sono comunque tante altre a cui volgersi e qualora non se ne vedano la colpa può essere ascritta soltanto alla propria miopia. Quand’ero un adolescente insicuro ebbi un periodo di lunga malinconia al cospetto della prima e immancabile delusione, ma in quell’occasione e in altre pagai lo scotto dell’inesperienza: ero ancora convinto che dovessi cercare il mio senso interiore nella reciproca risonanza con una ragazza. Capisco chi avverta l’urgenza dell’altrui considerazione, come se essa conferisse davvero un significato all’esistenza, ma le cose stanno diversamente.
Quando incontrai colei che non incontrai più
Pubblicato lunedì 29 Aprile 2019 alle 22:02 da FrancescoL’avanzata nel tempo è una scalata e gli appigli sono le lancette dei tanti orologi fermi che ne tempestano la parete. A volte uno sguardo nel vuoto dà l’idea di quanto tempo sia trascorso dall’ultima volta che qualcuno abbia degnato di considerazione il proprio passato.
La caduta a ritroso non è eventuale, ma certa: la salita è propedeutica al suo esatto contrario. All’orizzonte si muovono ombre che non temo affatto, però alimento lo stesso un po’ di circospezione. Qualche volta non mi vedo a una certa quota sopra la mia nascita, sospeso o in progressione sull’asse delle ordinate, bensì vi sono dei momenti o addirittura interi periodi nei quali mi sento sotto una piccola cascata mentre il tempo mi scivola addosso. Ho il sospetto che la durata della mia esistenza non conti poi molto nel grande gioco del cosmo, ma assecondo l’istinto di conservazione e le auguro una buona longevità.
Mi reputo risolto in una determinata misura e mi rendo conto di come tale asserzione potrebbe apparire pretenziosa o persino tracotante se venisse letta o appresa da chi avesse l’ardire di spendersi sulle mie parole, ma non sono giunto a tale giudizio con la negligente indulgenza di chi non abbia mai dilaniato se stesso in lunghe, drastiche e decisive schermaglie introspettive.
Ho come l’impressione che quanto ancora rimanga del mio tempo su questo pianeta sia una sorta di surplus e per me non v’è nulla di negativo in ciò, anzi, ma non ne ho la certezza e non so se il futuro abbia in serbo per me nuovi sensi con cui ammantare il mio rapporto con lui.
La mia vaghezza è lo specchio opaco su cui mi rifletto e sul quale rifletto. Non pretendo di scrivere o dire nulla di più di quanto non ci sia bisogno di scrivere e di dire. Se dovessi davvero aggiungere qualcosa in questo preciso istante, allora volgerei un plauso alla notte incipiente e alle voci di Otis Redding e Sam Cooke che mi ci traghettano mentre parlo con me stesso e sempre per me stesso scrivo.
Qualche giorno fa mi sono trovato a fare un giro a Grosseto e durante una breve sosta a un distributore di benzina ho scorto una Pontiac. A un primo sguardo la macchina mi ha ricordato quella di Knight Rider (conosciuto in italia come Supercar), celebre telefim degli anni ottanta, ma ne ho avuto la conferma subito dopo, quando ho notato il movimento del led anteriore!
Mi sono fermato a parlare un po’ con il proprietario il quale è stato gentilissimo! L’auto è una replica fedelissima di KITT e trasuda passione da ogni atomo. Per un momento la mia infanzia ha reclamato il suo primato sul presente.
Caduta una guglia se ne innalza un’altra
Pubblicato lunedì 15 Aprile 2019 alle 23:09 da FrancescoL’incendio che è prorotto da Notre Dame mi ha ricordato ancora una volta la caducità di tutte le cose umane. La breve storia della mia specie si annida in simboli, edifici e opere di vario genere su cui il tempo sedimenta i significati del passato.
In un lontano futuro anche la Terra verrà avvolta dalle fiamme e non rimarrà nulla di codesto proscenio dal nucleo di ferro, tuttavia mi chiedo se quello spettacolo d’estinzione avrà degli spettatori come in queste ore se ne adunano sulle rive della Senna, magari a bordo di navi spaziali approntate all’uopo con vista sul disastro o, per i meno facoltosi, con gli occhi incollati a potenti telescopi.
Anche il dispiacere e lo struggimento sono passeggeri, proprio come lo sono le loro controparti, ma è comprensibile che tanto gli uni quanto le altre si avvicendino in testa (anch’essa effimera nella sua duplice accezione) in pieno accordo con le circostanze: il presente non fa altro che consegnare corone d’alloro agli stati emotivi. Tutto ciò mi porta alla mente un passaggio de “Il libro tibetano dei morti”, secondo il quale l’acqua si estingue nel fuoco e quest’ultimo nel vento, ma la mia immaginazione mi propone anche le pire sul Gange e le loro volute di fumo.
Non ho ragioni valide per sporgermi oltre il solipsismo, ma talvolta mi piacerebbe valutarne alcune e se non lo ammettessi farei un brutto torto alla verità. Vivo con me stesso e per me stesso, perciò mi ritengo abile e fortunato. C’è molto al di fuori del mio microcosmo, di ciò sono consapevole, però in quel mare magnum si trovano anche acque pericolose.
Non so se io abbia fatto una precisa scelta di vita, tuttavia nel corso degli ultimi anni la mia esistenza ha tracciato i contorni di qualcosa che le assomiglia molto. Quello attuale per me è un periodo tranquillo e in parte anche prolifico, quindi non ho nulla di cui lamentarmi e mi godo la quotidianità delle mie buone abitudini. Anche l’inconscio non mi manda più certi segnali con la stessa frequenza di prima, come se anch’egli avesse compreso l’impraticabilità di una profonda consonanza. Un’autentica reciprocità è difficile da stabilire e allo stesso tempo, secondo la mia modesta opinione, la sua assenza va salutata con gaudio qualora si riveli la salubre alternativa a qualcosa di autodistruttivo. In certi ambiti non mi piacciono le forzature perché non portano nulla di buono, ma capisco come esse possano costituire una tentazione irresistibile per taluni. Comprendo anche il bisogno dell’identificazione con una realtà endogena, ma per me il gioco non vale necessariamente la candela e trovo che in alcune circostanze sia preferibile un placido buio, altrettanto gravido di possibilità inesplorate e meno tetro di quanto lasci intendere il suo nero dominio.
Credo che la presenza di spirito faccia la differenza tra l’accettazione di compromessi nocivi e il loro netto rifiuto, però in tutto ciò un po’ di lungimiranza si presenta quale condito sine qua non. Avvisi chiari ne ho visti negli esiti delle vite altrui e a me già quelli sono bastati per assumere la dovuta circospezione. È vero, intanto il tempo passa, ma d’altro canto mi viene da scrivere: ci manca solo che si fermasse a guardare come un voyeur!
Negli ultimi sette giorni ho corso molto, quasi centocinquanta chilometri, e mi sono divertito altrettanto. L’attività fisica in solitudine mi espone sempre a un flusso spontaneo di pensieri verso i quali non avanzo mai pretese.
L’attività mentale durante certi sforzi, anche nel corso dei più blandi, mi appare sempre a una certa distanza, come se io la mantenessi davanti a me di alcuni metri, e dunque in questa condizione posso esserne al contempo lo spettatore oltre che il proiettore. Ne concludo che ancor oggi la corsa costituisca la mia forma privilegiata di meditazione e ho ragione di credere che sia destinata a rimanere tale per molto tempo: con tutta probabilità risiede in questo il motivo maggiore dietro cui mi risulta possibile coprire determinate distanze senza sviluppare noia né insofferenza. Gli effetti positivi dell’attività psicomotoria alimentano la mia costanza e ne consegue un ciclo virtuoso che può avere dei rallentamenti o degli adattamenti alle circostanze, ma mai un arresto volontario.
Complice la giovane primavera e forse una militanza di lunga data presso me stesso, quest’oggi non mi si è presentata una prima visione tra le mie riflessioni itineranti, bensì la replica di considerazioni a cui già innumerevoli volte ho dato libero corso: un po’ come i film trasmessi d’estate sulle emittenti più diffuse. Non mi va di scendere in dettagli perché ho già fatto le scale e poi sono sempre gli stessi delle puntate precedenti, però mi riservo di farlo alla prossima riproposizione. Ho molte cose da dire e da scrivere, tuttavia aspetto che si alzi il vento per riferirgliele.
Questi sono alcuni dei dischi usati che ho rimediato nel Sol Levante. “Ishoku-Sokuhatsu” degli Yonin Bayashi l’ho trovato a poco perché la copertina si presenta un po’ rovinata, ma il vinile è intonso e suona benissimo: anno 1974, si tratta di uno dei capolavori del progressive nipponico e ci tenevo a prenderlo nella sua patria.
Fatte le debite eccezioni, Dead Kennedys su tutti, non sono un grande appassionato di punk, ma desideravo da tempo una copia di “Zen Arcade” degli Hüsker Dü e me la sono procurata nell’ultimo giorno utile in Giappone, al settimo piano di uno dei punti vendita di Disk Union a Shinjuku. Per me è un album spettacolare e penso che risulterebbe la mia prima scelta se una ditta di demolizioni mi chiedesse di sfondare tutte le porte di un palazzo diroccato.
”Space Ritual” degli Hawkwind è un grande classico che non ho mai avuto occasione di comprare per pochi copechi e quando l’ho trovato a meno di 1000¥ non me lo sono fatto scappare: preferisco la prima metà alla seconda.
Klaus Schulze per me è una garanzia e finora mi è sempre piaciuto tutto quello che ho ascoltato della sua produzione, ma non conoscevo “Dune” e l’ho preso sulla fiducia un po’ per il prezzo economico, un po’ per la copertina tratta da “Solaris”: le due lunghe tracce del disco non mi hanno fatto rimpiangere l’acquisto.
Alcune mesi fa mi sono ritrovato in una libreria emiliana e in mancanza di meglio ho acquistato “Il Tao della fisica” di Fritjof Capra, attratto anche dal proposito del libro, ossia quello di esporre delle analogie tra la fisica moderna e alcune forme di esoterismo orientale, come se le seconde a loro modo fossero antesignane della prima, specialmente nei suoi sviluppi quantistici.
Si tratta di un libro ormai datato, pubblicato alla metà degli anni settanta, ma offre ancora qualche suggestione. Una prima e corposa parte è costituita da concetti che già m’erano noti in termini divulgativi, gli stessi impiegati dal testo, e di cui invece ignoro il formalismo matematico perché non ho i mezzi culturali né intellettuali per approcciarmici.
Lettura scorrevole, ma per me deludente dal momento in cui mi attendevo dei parallelismi approfonditi tra le frontiere della fisica e le esperienze mistiche: tutto troppo vago a mio avviso, un po’ tirato per i capelli e forzato sotto tale aspetto, inoltre, almeno per i miei gusti, manco avvincente in questa parte dell’esposizione. Come ho letto altrove, forse questo libro è stato anche un po’ figlio del suo tempo e come tale va inquadrato. Si è dimostrata l’ennesima occasione per rileggere cose che avevo già affrontato molteplici volte, però non si è rivelata un’opportunità per assimilarne di nuove.
Non ho mai investito molto tempo né energie nei rapporti interpersonali poiché ho capito presto come il loro andamento dipenda solo in parte da me. Il tempo mi ha dato ragione o forse io ho fatto in modo che me l’accordasse in virtù delle suddette premesse.
Il solipsismo è l’unica risposta sensata che abbia trovato all’assenza di una mutua risonanza, ma d’altro canto anch’io sono parte di un’assenza per qualcun altro in qualità di occasione mancata o mancante: ecco dunque l’unica, vera e vicendevole reciprocità possibile, quella del distacco dopo una conoscenza pregressa o l’autentica, inedita e totale estraneità delle parti.
Non ho mai sciolto certe questioni né i capelli di una ragazza, perciò ho lasciato insoluto l’enigma femmineo. La mia attrazione verso certe donne, quasi sempre scaturita a seguito di un loro primo passo, si è puntualmente risolta in silenzi inespugnabili, ma quegli esiti sterili hanno corroborato la mia individualità e dunque non so quale lettura darne. Ho avuto dei confronti, ancorché soltanto sul piano intellettuale ed emotivo, ma paradossalmente i loro effetti migliori non sono stati di matrice relazionale. Al netto di tutto e in virtù del senno di poi devo altresì ammettere come sia stata indifferente l’identità di quelle ragazze con cui ho avuto dei contatti platonici, siano essi stati epistolari o vìs-a-vìs: a rischio di piegarmi dalle risate mi chiedo se non sarebbe stato meglio se avessi optato per qualche test di Turing in luogo di tutto quel ciarlare. Il quadro è meno complicato di quanto possa sembrarmi, però devo ancora trovargli una bella cornice e non so davvero quando capiterò a un mercatino dell’usato.