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L’addio alle gare (in Italia)

Quattro giorni fa ho chiuso la mia carriera agonistica con un terzo posto in una gara locale.
Domenica potrei partecipare alla maratona di Rimini dove mi attende il pettorale numero sei nella griglia top runner, invece me ne sbatterò altamente i coglioni. Per la maratona di Roma ho addirittura l’iscrizione gratuita, però mi manca la fantasia di andare incontro a quella che reputo un’organizzazione pessima.
Ci ho ragionato un po’ e mi sono chiesto per quale cazzo di motivo io continui a foraggiare nel mio piccolo un sistema che disprezzo, dove agli occhi della FIDAL il mio sudore non vale quanto quello di chi fa parte di una squadra, dove i dopati di merda subiscono pene ridicole e tornano a gareggiare dopo poco come se non fosse successo nulla, quasi fossero delle vittime, dove certi “atleti” disattendono puntualmente le regole e si fanno assistere da amici, parenti o da altri stronzi in bicicletta, dove non di rado le griglie di partenza sono organizzate ad mentula canis o non vengono fatte rispettare, dove ogni cazzo di anno devo pagare per un certificato medico che non serve a nulla e per una tessera che di fatto è soltanto una tassa. E tutto per cosa? Per vedere il mio nome su una classifica di merda? Per avere un riconoscimento da enti ed entità di cui non mi fotte una minchia? Fuck this shit. Ci ho provato a farne parte, ma è un mondo che non riesco più a tollerare. Continuerò ad allenarmi, a tratti anche più di prima, e magari farò qualche maratona all’estero.
Intanto fondo una mia federazione, la CCCV, ossia “Corro come cazzo voglio” e ne faccio presidente il gatto Heidegger, con l’auspicio che quest’ultimo un domani possa avere un doppio incarico in un governo fasciofelino. Ritorno davvero al puer che è in me: organizzerò delle gare in solitaria, sulla falsariga di quando, ancora imberbe, mi facevo la telecronaca mentre giocavo a pallone in giardino.

Francesco

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