È giunto il momento di tornare a Zante, ma prima di rimpatriare ho preso un omikuji dal tempio di Asakusa per intuire cosa il futuro abbia in serbo per me da una prospettiva scintoista. Ne è scaturito un momento di incontro tra culture, quella oracolare nipponica e quella apotropaica italiana, infatti appena ho letto il responso mi sono toccato i coglioni.
Io penso che ogni sventura sia figlia di ciò con cui Emil Cioran titolò una sua silloge aforistica, “L’inconveniente di essere nati”, ma questo è un altro discorso, vacuo e trascurabile come sa essere ogni parto.
Non idealizzo il Giappone, non potrei mai viverci per molteplici ragioni, e posso immaginare quali motivi concorsero ad acuire la depressione di Tiziano Terzani quand’egli soggiornò a lungo da queste parti, però a me piace tornarci dopo che sia intercorso un congruo lasso di tempo dall’ultima volta.
Ho avuto il privilegio di nascere e ho ancor oggi quello di vivere in un posto magnifico, al quale di certo non appartengo in ragione di vincoli umani poiché “come uno straniero non sento legami di sentimento”, per usare le parole di Camisasca, ma la mia fortuna più grande è stata quella di rendermene conto presto e di non rinunciarci.
Invero non credo al caso. Qualche giorno fa in metropolitana mi è caduto l’occhio su un libro inglese di un autoctono dove ho scorto i nomi di Derrida e Heidegger: nei giorni precedenti il secondo era stato oggetto di mie riflessioni itineranti.
Ammetto le coincidenze solo quando si possano dire significative: questa non è stata la prima volta in cui ho esperito sincronicità junghiane.
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