Giovedì ho corso da solo una maratona al Velodromo di Grosseto in 2h40’29”, ossia a un passo di 3’47”. Ho stoppato il GPS dopo 42 chilometri e 340 metri per simulare eventuali errori di traiettoria. Quando mi sono fermato ho provato una soddisfazione smisurata, perché oltre a una prova di forza e resistenza in solitaria la mia è stata anche una sfida con lo spirito puer che mi accompagna in questo sport.
Dopo quest’ultima sessione ho chiuso il mese di gennaio a quota 513,4 chilometri.
Mai come giovedì mi sono reso conto di quanto la corsa costituisca il mezzo attuale con cui posso prepararmi al momento della morte, all’elaborazione di un lutto, all’insorgenza di una malattia. Mi chiedo se l’attraversamento del Bardo si possa fare ad ampie falcate. Ho pensieri e immagini troppo pesanti per i gaglioffi.
In alcuni dei miei allenamenti vi sono delle volte in cui la metafisica invade il campo dell’atletica leggera, ma so che un domani la mia meditatio mortis dovrà trovare altre vie e allora darò più spazio all’immobilità e al silenzio.
Nella corsa il mondo assume sembianze più meritocratiche e meno ingiuste, severe certo, ma non efferate.
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