Mi pare che l’autolesionismo riscuota ancora un grande successo tra i mortali, ma io non sono un modaiolo e il mio stile è minimalista. Non v’è uno sguardo esterno nel quale io mi specchi e talora mi chiedo dove sia andata a schiantarsi quell’intesa embrionale che mi mostrò più volte i suoi baluginii.
Dalla via di Damasco alla via d’estinzione il passo è più breve di quello che prova a farsi più lungo della gamba, però in qualche modo l’uno è conseguenza dell’altro. Mi affaccio sulla realtà del presente e scorgo residui temporali che vengono dagli antipodi di Crono. Se ogni tanto incontrassi qualche fantasma gli chiederei quanto tempo mi rimane da vivere, ma la mia estrema lucidità mi preclude ogni allucinazione di servizio. Non so cosa mi riservi il domani e dubito che possa prenotare un tavolo per sbracarmi in tutta la mia ontologia. Con i miei simili parlo di cose che ci rendono diversi e ci pongono a distanze siderali. A carnevale lancerò fonemi e il resto dell’anno coriandoli: ne guadagnerà la reciproca comprensione tra me e chi non è me.
Sarebbe bello se certe storture genetiche fossero correggibili a penna e se in virtù di ciò i costi di cancelleria superassero a buona ragione i fondi per la ricerca sulle malattie rare. Fantasticare è un po’ morire, ma pare che anche vivere non faccia bene. Sono contento di me stesso e mi voglio un grande bene, perciò mi reputo un privilegiato. Cosa farei di me se fossi circondato da tante persone e mi mancasse proprio la mia vicinanza? Certo, una cosa non esclude per forza l’altra, ma a me va bene il primato dell’amor proprio. I punti di contatto non sono astrazioni matematiche e non basta teorizzarne l’esistenza affinché essi si palesino: io non ne ho e non faccio mai finta di possederne qualcuno nello scantinato o nell’alto dei cieli. Posso fare un po’ d’import ed export di frasi fatte dai cinesi, ma ormai anche il confucianesimo è inflazionato dalla crescita demografica.
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