Esistono forti anomalie nel campo dei rapporti umani, ma lo sviluppo di un Sé coeso garantisce una buona schermatura contro un simile genere di disturbi. Veleggio a metà della mia terza decade, in perfetta equidistanza tra speranze anacronistiche e rese precoci, difatti all’orizzonte non scorgo né una terra né i profili di altri vascelli. Il cielo terso mi ricorda un silenzio imperfetto e pacificatore, invece le piogge improvvise mi fanno venire in mente profluvi di parole inutili e sterili che solo a volte si fanno apprezzare come rumore di fondo.
Comprendo il piacere frivolo di comunicare con altri individui nella vanesia illusione di una qualche reciprocità, però mi lascia perplesso l’urgenza di chi non sappia farne a meno. Non capisco per quale ragione sia indispensabile la considerazione di qualcun altro, come se un messaggio o un’esternazione perdessero i loro significati intrinseci o valessero di meno a causa dell’assenza di un ricevente; come se la misura per l’ingegno di un’opera fosse data dalla sola fruizione di quest’ultima.
M’è caro il concetto di aseità benché io lo trasli dalla scolastica a una dimensione individuale e introspettiva. Senza le luci della ribalta v’è un risparmio energetico d’indubbia portata, specialmente qualora il gioco non valga la ben più ecologica candela, ma non posso negare come, in determinate casi, risulti auspicabile una concentrazione di occhi su certe manifestazioni antropiche e ciò, di norma, per ragioni più valide di quella comunque legittima che sovente scaturisce da un’infantile ricerca di attenzioni.
Nel solipsismo v’è qualcosa di mirabile, ma immagino che una sua applicazione parziale e circostanziata offra più di quanto se ne possa ricavare da una rigida osservanza. Se la realtà fosse statica anche la sua controparte soggettiva potrebbe godere di certezze a lei speculari, ma pare che le cose siano più complicate di quanto ogni pressappochismo sia disposto ad ammettere.
Sabato mi sono recato a Parma con la ferma convinzione che non ci sia mai stata un’epoca in cui la parresia sia stata in voga, dunque non confido in un suo revival durante il mio soggiorno su questo pianeta.
Domenica, a due settimane da quella di Ferrara, ho corso la maratona in 2h43’27” e mi sono classificato al quinto posto assoluto su circa 1100 arrivati.
La mia è stata una gara in progressione con tanto di negative split, infatti nella seconda parte ho recuperato tredici posizioni. Durante i primi sorpassi ho anche profuso bestemmie e improperi vari verso chi si faceva allungare i rifornimenti dall’assistenza in bicicletta, in chiara violazione del regolamento FIDAL.
Mi sento in forma, le gambe girano bene e sto cominciando a raccogliere i frutti dei carichi estivi. Ho ancora un ampio margine di miglioramento sotto il profilo alimentare, ma non voglio sottopormi a sacrifici che superino una ragionevole identificazione in codesta disciplina e dunque non mi tiro indietro di fronte al fascino dei pasti che mi preparo o di cui acquisto l’immediatezza. Per l’occasione ho realizzato un video dove ricapitolo in inglese le maratone dell’anno corrente fino a quest’ultima di Parma.
Dopo la maratona dell’Alzheimer ho corso altre tre gare: due da diecimila metri e un’altra maratona, quella di Ferrara. Di seguito cerco di ripercorrere in ordine e compiutamente le mie recenti prestazioni, ma soprattutto conto di collezionarne molte altre di cui scrivere nell’immediato futuro.
Domenica ventitré settembre ho preso parte a una gara di dieci chilometri in quel di Grosseto, l’AIPAMM Run, però non ho dato fondo al massimo delle mie possibilità e mi sono limitato a gestire bene le forze per conseguire il terzo posto, difatti gli altri due gradini del podio mi erano preclusi a causa del grande divario presente tra me e i due atleti che mi hanno preceduto.
Il trenta settembre invece mi sono recato a Ferrara per la mia seconda partecipazione alla maratona cittadina e ho condotto una gara molto cauta con una lieve progressione finale. Le condizioni climatiche erano migliori rispetto a due settimane prima e il percorso pianeggiante mi ha aiutato a mantenere un’andatura regolare, difatti non ho avuto la benché minima crisi e ho tagliato il traguardo senza problemi in 2h46’16”: la mia dodicesima maratona sotto le 2h50′. Di sicuro non ho dato il massimo, ma la mia performance mi è comunque valsa il quinto posto assoluto e, grazie a questo piazzamento, ho ottenuto una targa rossa col profilo del castello estense che ben si sposa con la mia stanza, anch’essa rossa. Ancora una volta non ho potuto ritirare il premio in denaro che, se non sbaglio, nel mio caso ammontava a 137,50€ per aver conseguito il quinto posto concludendo la gara sotto le 2h50′: questo è il prezzo che la FIDAL impone a chi come me non ha né vuole una squadra; sono le regole, io le accetto e le rispetto, infatti è stata mia cura far notare la cosa all’organizzazione affinché non commettesse un errore, ma continuo a prediligere la libertà. Ho trascorso una giornata stupenda perché Ferrara è davvero bella e dopo la maratona mi sono mangiato una buona piadina con un grande compagno di avventure podistiche!
A sette giorni di distanza dalla competizione suddetta, ossia la scorsa domenica, ho preso parte a un’altra gara di dieci chilometri a Tarquinia che si è rivelata d’un livello piuttosto alto per essere un evento locale e per tale ragione, col tempo di 35’17”, mi sono classificato all’ottavo posto, terzo di categoria, tuttavia devo anche tenere conto di come mi sono presentato alla partenza, ossia con novantacinque chilometri macinati tra il lunedì e il venerdì successivi alla maratona di Ferrara. Invero speravo in qualcosina di più sotto il profilo cronometrico e contavo di abbattere, seppur di poco, il muro dei trentacinque minuti in quanto è ampiamente alla mia portata. Il GPS (Polar M430) mi ha segnato un passo finale di 3’28” al chilometro, ma su 10200 metri di distanza, quindi o ho sbagliato io la traiettoria del percorso (quest’anno persino omologato dalla FIDAL) o il mio orologio mi ha regalato qualcosa; in ogni caso sono ampiamente soddisfatto e guardo con fiducia alle gare che mi attendono.
Dopo molti anni ho trovato il momento giusto per colmare una lacuna verso cui avvertivo un crescente disagio, ovvero un’attenta lettura della Divina Commedia che ho portato a termine poco più d’un mese fa, tuttavia non ho affrontato l’opera di Dante per una questione prettamente umanistica ed è stata invece un’altra la ragione in virtù di cui mi sono risolto a cotanto investimento di tempo, ossia la prospettiva di poterne poi leggere l’interpretazione datane da René Guénon.
Il mio approccio da profano non mi ha fatto sentire entusiasmo alcuno verso i vari rimandi ai personaggi pubblici dell’epoca né alle ripartizioni dei luoghi e tanto meno ai dettagli delle gerarchie celesti, ma d’altronde non mi ci sono affacciato con lo spirito del tempo e forse non ho còlto il valore simbolico di questi elementi per i quali, comunque, non escludo futura contezza. Le suggestioni più sincere le ho tratte dalle descrizioni dei gironi infernali, dei fiumi che là si snodano, delle bolge nell’ottavo cerchio, ma nei riguardi del mio interesse questi ritratti hanno perso d’intensità con l’arrivo al Purgatorio e lo hanno poi riacceso nei primi canti del Paradiso. Immagino che anche tripartire la Commedia in tal modo sia un errore benché essa si presenti effettivamente così, però sono consapevole di come la sua fruizione vada intesa integralmente e di quanto, parti meno avvincenti, siano funzionali per la comprensione di altri episodi legati a doppio filo con esse. Ho gradito oltremodo molteplici terzine e me le sono segnate per ritrovarle all’uopo, ma è stata la tensione spirituale dell’intero viaggio iniziatico ciò che mi ha reso la lettura assai scorrevole.
Ho scelto deliberatamente un’edizione piuttosto essenziale, con poche e indispensabili note, cosicché le spiegazioni non soverchiassero il testo originale, ma desideravo pure le immagini evocative con cui Gustav Doré illustrò l’opera a suo tempo e di cui, secondo il mio gusto, non ne sono mai state prodotte di altrettanto efficaci, così mi sono procurato un libro che le raccogliesse. Soddisfatte quindi le premesse nozionistiche, conto di leggere presto “L’esoterismo di Dante” nella chiave di lettura summenzionata, ossia quella di un’iniziazione, ma con la viva speranza di trarne più di quanto il titolo altisonante lasci presagire.