Attendevo il kairos per leggere il “Fedone” di Platone e il momento opportuno è giunto in una notte di mezza estate senza ingerenze shakespeariane. Il dialogo mi ha trasmesso una balsamica accettazione degli eventi e certe arguzie maieutiche mi hanno strappato più di un sorriso. Non ho mostrato grande interesse per le questioni dell’anima, quelle in cui Sìmmia e Cebète avanzano dubbi sulla natura e l’indistruttibilità di quest’ultima, bensì mi sono deliziato con l’imperturbabilità di Socrate dinanzi all’imminenza del suo aperitivo di cicuta.
Secondo me il clima di questo scritto costituisce un esempio primevo della “destinazione tanatologica della filosofia”, così come riporta una nota del testo, ovvero quella che io ancor oggi reputo la meta capitale di tale pratica: imparare a morire. Gli spunti ivi presenti non hanno nulla di esoterico, quantomeno non nella degradata accezione degli ultimi decenni, ma neanche in quella letterale poiché con una esse in più al massimo possono essere essoterici, cioè di pubblico dominio; una scrematura avviene invece con la sua comprensione: quand’essa risulti soltanto scolastica o accademica credo che in qualche misura ne vada persa la parte migliore, quella di cui in certe condizioni si può persino fare esperienza.
Già edotto da me stesso anni fa in merito ai molteplici concetti di Platone, non ho quindi trovato stimolante la rilettura di quanto riguarda l’Iperuranio, l’anamnesi, l’analisi dei contrari e il tentativo di conciliare l’impianto eracliteo con quello di Parmenide, però mi è piaciuto il rimando alla dottrina pitagorica della metempsicosi in quanto conferisce un ulteriore slancio a quella tensione spirituale di cui il Socrate platonico è reso sommo interprete.
Ho smesso di credere al caso quasi un lustro fa e in seguito il susseguirsi di coincidenze più o meno significative mi ha prospettato la sua eventualità come ulteriormente risibile.
Mi sono avvicinato alla corsa anni or sono poiché è uno sport individuale e può essere praticato senza l’ausilio di terzi, ma paradossalmente è in seno al suo agonismo che ho avuto modo di conoscere tanta bella gente. Certo, anche il podismo possiede un’inevitabile quota di teste di cazzo, ma è decisamente minore rispetto ad altri àmbiti e sono convinto che tale peculiarità dipenda dalla sua caratteristica preminente: la fatica.
Tra i tanti individui con cui ho allacciato i rapporti in quest’ambiente figura anche un melomane come me e proprio ieri, dopo che per la terza volta di fila sono arrivato al quarto posto in una gara locale, ho ricevuto in regalo da costui un disco potentissimo del quale valutavo da tempo l’acquisto in vinile! Se non è sincronicità junghiana questa!
Prima di cotanto dono, io dei Dream Theater avevo solo tre album in CD, ossia “Images & Words”, “Awake” e “Metropolis Part 2”, perciò quando ho aperto il regalo e mi sono trovato di fronte il doppio vinile di “A Change Of Seasons” sono stato felice come quando Donald Trump è diventato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Se per la prima comunione avessi ricevuto un omaggio del genere forse mi sarei risolto a fare la cresima.
Tra l’altro v’è anche un’altra ragione per la quale il disco di cui sopra mi risulta significativo, difatti il suo concept si sposa bene con l’attuale fase della mia esistenza. Ho imparato come l’ottenimento di certa musica incida sulla fruizione della medesima e di sicuro ogni mio ascolto di “A Change Of Seasons” godrà sempre di un valore aggiunto.
Grazie di cuore! Ricambierò appena possibile! È davvero difficile farmi un regalo azzeccato, per tale ragione suggerisco sempre un buono benzina come cadeau, ma questa volta l’impresa è riuscitissima!
Talora mentre corro mi trovo a vivere dei momenti di estrema lucidità. In quei frangenti mi sembra che io riesca davvero a percepire quanto mi circonda, come se ogni cosa non si limitasse a comparire nel mio campo visivo e io a mia volta vi entrassi dentro per ricambiare la visita ricevuta dalla mia vista. Non so da cosa dipendano queste fulminee esperienze né in quale misura scaturiscano dalle reazioni biochimiche di un’attività fisica piuttosto intensa, ma in ogni caso non me la sento d’inquadrarle in una cornice esclusivamente organica. Secondo il mio modesto parere le percezioni di ogni individuo hanno un’ampiezza variabile e credo che alcuni stimoli corporei siano in grado di affinarne il potenziale, mi chiedo tuttavia quanto sia arduo discernere l’autenticità di certi accadimenti dai moti dell’autosuggestione e se l’eventuale partecipazione di quest’ultima debba per forza inficiare la prima, tanto da snaturarla.
V’è una parte della cosiddetta realtà di cui i cinque sensi dell’essere umano intercettano soltanto segnali deboli e confusi, perciò mi domando se certe frequenze un tempo fossero alla portata della mia specie e se la sua evoluzione le abbia via via estromesse dalla sensibilità comune per questioni di adattamento, o se invece l’umanità tutta si stia ancora muovendo verso una maggiore ricettività. Ho sempre la sensazione che qualcosa mi sfugga, come se l’avessi sotto il naso o me lo attraversasse da parte a parte. Mi sono interrogato più volte sulle ragioni di cotali impressioni e sono arrivato persino a chiedermi se io ammetta una realtà più estesa di quella esperibile poiché insoddisfatto da quest’ultima, ma invero non v’è delusione alcuna per quanto rientri nelle mie corde e quindi ho finito per non mettere in discussione la genuinità della mia premessa. Sono curioso di sapere cosa si trovi in certi stati di coscienza, come se volessi arrampicarmi sul tetto di una torre eburnea per godermi il colpo d’occhio.
La scorsa notte ho visto “Risvegli”, un vecchio film con Robin Williams e Robert De Niro che è basato su dei fatti realmente accaduti a Oliver Sacks, un noto neurologo e uno scrittore di successo che ha lasciato il corpo qualche anno fa. Forse la mia scelta cinematografica è stata viziata in parte dalle mie recenti riflessioni su chi è degente in un letto di ospedale e si vede precluse tutte quelle possibilità che io invece do per scontate, dunque non aspetto di ritrovarmi in condizioni critiche per apprezzarle davvero e così scriverne, seppur brevemente, si rivela un modo per celebrarle: un piatto di pasta integrale con un sugo di peperoni e noci, il santo refrigerio dell’acqua salmastra, il soffio del maestrale, la sana stanchezza di una corsa, l’appagamento di una lettura, il rilassamento che segue la masturbazione, un sonno serafico e gli effetti galvanizzanti di un pieno riposo.
Talora mi chiedo come saranno i miei ultimi gironi su questo pianeta, però simili interrogativi non mi incupiscono mai e scaturiscono da una curiosità che secondo me verrà meno quando comincerà a profilarsi una risposta o non ve ne sarà alcuna per l’eventuale immediatezza della dipartita. A causa delle recenti temperature potrei quasi concordare con quanti ritengono che l’inferno sia già sulla Terra, ma certi impianti teologici mi sono indigesti e vi preferisco una dieta mediterranea.
Non so cosa mi resti da fare né tanto meno se io abbia mai iniziato a combinare qualcosa, ma nutro la certezza di fregarmene e così campo bene. Per fortuna non mi sono mai appropriato delle altrui aspettative e la mia astensione da simili furti mi ha permesso di concentrarmi su quanto ancor oggi reputo importante benché tutto ciò non offra margini di condivisione. Raccolgo quello che trovo lungo le distese di giorni sempreverdi e quindi ribadisco il mio gusto per le piccole cose ancorché quest’ultimo non sia loro appannaggio: incenso l’ovvietà con le ovvietà e tanto alla prima quanto alle seconde riconosco un valore maggiore di quello apparente.
In questi giorni torridi riesco a correre molto perché divido in due parti i miei allenamenti. Vado un po’ più veloce il pomeriggio e macino più distanza la sera. Ieri, per esempio, quando il sole era già vòlto all’occaso, sono uscito di casa per fare una bella e rilassante sgambata di quasi diciannove chilometri nel buio. Durante il tragitto mi sono goduto la volta celeste come se fosse stata il maxischermo di un multisala, inoltre avevo il frinire dei grilli in dolby surround: insomma, uno scenario bucolico privo d’inquinamento acustico e luminoso, rivestito dall’oscurità e a mia completa disposizione.
Ultimamente sto leggendo il Fedone di Platone e l’Inferno de La Divina Commedia, perciò durante la corsa alcune delle riflessioni estemporanee di cui mi rendo autore risentono di tali letture e circoscrivono su un piano cartesiano le rotte dei miei voli pindarici. Sebbene al momento vi dedichi un’attenzione meno frequente rispetto alle opere anzidette, tra i libri di cui dispongo v’è anche Fisica quantistica per poeti, un altro saggio sulla fisica quantistica che può essere fruito anche da chi come me non abbia un retroterra scientifico per affrontare trattazioni più tecniche sull’argomento. Mi dilettano e mi arricchiscono oltremodo certi testi, ma penso che nel mio caso il loro denominatore comune scaturisca dalla mia intima esigenza di saperne il più possibile sulla cosiddetta realtà e sulle sue implicazioni.
Alla luce di tutto ciò avverto un certo brio nella mia disposizione d’animo e mi sento pervaso da un’iperattività assai positiva. Non ho una vita sociale e non frequento nessuno, tuttavia ho delle grandi passioni che mi forniscono vigore e buone motivazioni con estrema regolarità. Non ho idea di come ci si apra in modo spontaneo al mondo a meno che non si capiti sotto i ferri di un chirurgo, ma per adesso godo ancora di buona salute e i miei interessi non prestano granché il fianco a nuove conoscenze.
Il ventitré luglio ho avuto la fortuna di vedere per la prima volta i King Crimson dal vivo ed è stata una bellissima esperienza. Mi sono recato nella splendida cavea dell’auditorium che ha progettato Renzo Piano e, da un punto rialzato della struttura, mi sono goduto le meravigliose versioni di “Epitaph” e “Island” con l’attuale formazione della band. Per me il concerto è finito con l’esecuzione della seconda parte di “Larks’ Tongue In Aspic”, infatti non sapevo della lunga pausa tra una scaletta e l’altra, quindi me ne sono andato come un coglione al termine della prima, tuttavia la portata dell’evento è stata intensa e me la sono goduta momento per momento. Inoltre sono stato contento anche per la presenza di Tony Levin in quanto egli ha prestato il suo basso a tanti dischi di mio gradimento. Questo concerto e quello dello scorso anno degli Yes sono diventati per me dei punti fermi, un po’ come il numero di Avogadro e la costante di Planck, perciò farò tesoro di questi bei ricordi che ho coltivato nella mia attuale incarnazione.
Ho alle spalle tanti concerti e spero di vederne ancora molti, ma di solito preferisco ambienti più raccolti, piccoli locali et similia. Riesco a trarre molte energie dalla passione per la musica e le trasferte solitarie non mi costano fatica alcuna, ma rispetto a qualche anno fa sono meno propenso ai lunghi viaggi perché ho già visto parecchi degli artisti per i quali ero disposto a sobbarcarmi più chilometri del solito. Se il tempo avesse concesso più di se stesso alla vita di certi gruppi forse sarei già in procinto di cambiare auto, tuttavia non posso lamentarmi perché ho avuto il privilegio di vedere grandi musicisti, alcuni dei quali hanno già lasciato il corpo da un po’. C’è qualcosa di bello nella transitorietà degli esseri umani e nell’arte altrettanto passeggera di alcuni di essi che sopravvive a loro stessi.