Non ho letto il Faust di Goethe per ricavare un’esperienza avvincente dal mio investimento di tempo, ma solo per ottemperare a quanto solevo ripromettermi da alcuni anni a questa parte, ovvero conoscere meglio l’opera poiché ne avevo già incontrato più volte plurime citazioni nella saggistica di mio gradimento.
Ho faticato un po’ ad arrivare alla fine dello scritto perché non sono riuscito a goderne lo stile, e di certo non ho ricevuto ausilio dalla mia repulsione verso la narrativa, tuttavia ho còlto il valore simbolico del libro collocandolo nel contesto in cui ne è avvenuta la stesura e senza che io sia riuscito a immedesimarmi nel suo spirito del tempo.
Ho la pretesa (e non so se sia giustificata o meno) di ritenere che ormai il dualismo mi sia chiaro a tutto tondo, come nell’apparente immobilità del tao, perciò ho avvertito un moto di noia quando l’ho trovato preminente tra Mefistofele e in ciò che gli è avverso, e poi di nuovo, durante le battute finali, in Faust stesso, con la polarizzazione definitiva degli aneliti di quest’ultimo che hanno una conclusione celeste, opposta alle premesse ctonie e quindi alla loro reificazione nelle dinamiche con i personaggi secondari.
Una simile lettura su di me non ha suscitato entusiasmo alcuno, non mi ha rapito, non vi ho percepito nessuna tensione spirituale, però l’ho accostata fin dagli esordi a “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, e non per la presenza in entrambe le opere di un personaggio femminile con lo stesso nome di battesimo, bensì per la capacità del russo (allora sovietico) di catturare il mio interesse e destare gli archetipi dal sonno della mia ragione, in netta contrapposizione alla noia che invece mi ha cagionato lo scritto del Goethe.
Per me l’ineluttabilità di certe letture è un male necessario, come se costituisse il tedioso recupero di mezzi indispensabili per condurre ricerche importanti, ma fortunatamente si tratta di circostanze sporadiche, episodiche, del tutto tollerabili nel loro saltuario gravame.
Ho sviluppato una spontanea immunità a parecchi tipi di identificazioni e, a fronte di tanti benefici, ne ho ottenuto anche un effetto collaterale, ossia l’incapacità di fare mio il gioco di temporaneo autoinganno su cui fanno leva alcune opere d’arte o presunte tali: un meccanismo analogo sta alla base di dinamiche ancor più prosaiche di quelle anzidette.
Disinteressata lettura del Faust di Goethe
Pubblicato mercoledì 23 Maggio 2018 alle 16:36 da FrancescoDa alcuni mesi a questa parte, oltre ai molteplici impegni della vita ordinaria, destino più del solito ampie quote del mio tempo libero a letture plurime, ad allenamenti solitari, alla stesura del mio quinto libro e alla musica, perciò mi ritaglio raramente degli opportuni momenti per riversare qualcosa su queste mie vetuste pagine, tuttavia conto di rimettervi mano al più presto in quanto traggo beneficio e appagamento dalla scrittura di cose che io solo leggo e di cui io solo mi curo.
I miei appunti hanno per me valore dialogico, difatti il loro carattere autoreferenziale e indagatore mi consente di sopperire alla carenza di conversazioni con terzi. La mia mente si muove in un territorio a maggioranza solipsistica, ma preferisco simili frequentazioni (cioè nulle) a quelle in cui “si respira con noia la miseria di rapporti da niente” (citazione di Claudio Rocchi da “L’orizzonte a Milano”).
Sento un lontano richiamo verso fonti di sapere alle quali devo ancora abbeverarmi e sono mosso da uno slancio la cui portata primeva non scema, perciò m’è dato di saltare a piè pari quei bisogni secondari su cui taluni edificano un senso alla vita. Non mi metto in contrapposizione con qualcuno in quanto la questione non è gerarchica e non può essere considerata con una ferrea verticalità, bensì a mio avviso si snoda su un modello curvilineo che non si presta a indebiti paragoni.
Un paio di giorni fa io e un altro tizio abbiamo pubblicato il primo video del nostro progetto melodic death metal: sua la musica, mio il concept.
Da ascoltatore ho sempre cercato dei validi brani in italiano tra gli angusti confini di generi un po’ estremi, ma il più delle volte non ho trovato nulla di mio gradimento e dunque sono doppiamente soddisfatto per l’esito di questa produzione. Non ho bisogno di conferme, il mio metro è sufficiente.
Ho una buona conoscenza dell’inglese poiché lo parlo, lo scrivo e lo leggo quotidianamente, ma in questo caso non volevo fare qualcosa che si perdesse nel mare magnum di una seconda lingua; lo svantaggio, o downside come si suole dire nella vecchia Albione, consiste nell’irraggiungibilità del pubblico nigeriano: I can deal with that.
In parte la scelta linguistica è stata dettata dalla mia passione per il prog italiano, ma anche dall’ascolto del secondo album in spagnolo degli Helker, “Resistir”, di cui ancor oggi preferisco la versione nella loro madrelingua a quella in inglese (uscita in seguito).
L’orizzonte degli eventi è un “celebre” concetto che ho preso in prestito dall’astrofisica e designa quell’allegra zona di un buco nero dove la velocità di fuga (ovvero quella necessaria per sottrarvisi) supera la velocità della luce: i parallelismi possibili si sprecano.