Ho corso due maratone in una settimana. La prima a Marina di Carrara, ossia la seconda edizione della White Marble Marathon. Con un ritmo di 3’49” al chilometro mi sono classificato al quarto posto in 2h41’26” e sono stato il primo bianco caucasico all’arrivo.
Non ho potuto ricevere l’astronomica cifra di settantacinque euro perché non faccio parte di alcuna squadra e la FIDAL, forse ispirata dal codice di Hammurabi, non consente il ritiro dei premi in denaro ai lupi solitari come me, ma forse le cose andrebbero diversamente se mi presentassi alla partenza in qualità di foreign fighter: non conosco le vere ragioni di siffatte regole e immagino che vadano cercate in qualche testo alchemico del Basso Medioevo. Lascio volentieri ai sepolcri imbiancati l’aurum vulgi, tanto io cerco altro che non posso trovare al di fuori di me.
Mi sono iscritto all’evento pochi giorni prima dello stesso e non avevo aspettative così come non ne nutro verso l’esistenza in generale.
Ho assecondato le mie buone sensazioni e sono partito con un ritmo di circa 3’53” al chilometro, passo che ho mantenuto per buona parte della gara con variazioni minime. Ho raggiunto la mezza maratona in 1h22’ e quindi ho corso più velocemente la seconda parte con conseguente negative split, ma è all’altezza del venticinquesimo chilometro che mi sono esaltato, poco dopo l’inizio della salita verso Massa, difatti là ho azzardato un bel cambio di passo e ho staccato un atleta per inseguirne un altro.
La scorsa domenica invece ho varcato i confini umbri per prendere parte alla maratona di San Valentino in quel di Terni, a una settimana esatta da quella di cui ho già dato conto. Sono giunto al traguardo in 2h42’43” (real time) e mi sono classificato al sesto posto, secondo di categoria, riuscendo di nuovo ad aumentare l’andatura nella seconda parte: un altro negative split!
Anche a ottobre corsi due maratone in una settimana (Parma in 2h44’22” e Lucca in 2h45’26”), ma questa volta ho fatto registrare dei tempi migliori su percorsi più difficili, difatti i primi ventiquattro chilometri della maratona di San Valentino sono contraddistinti da continui tratti in salita. Non sono arrivato al traguardo particolarmente provato e due giorni dopo la gara, ovvero ieri, ho corso 27 chilometri a 4’25” di media!
Mi diverto e non pianifico nulla, non ho ossessioni cronometriche, però mi piace analizzare i dati che produco. Se prendessi sul serio l’atletica leggera probabilmente mi cercherei un allenatore, seguirei una certa dieta e soprattutto non mi presenterei alla partenza di due maratone nell’arco di sette giorni, ma io me ne frego e faccio quello che più mi piace.
Con le due gare succitate ho portato a nove le maratone corse negli ultimi cinque mesi e mezzo: la più lenta conclusa in 2h47’22”, la più veloce in 2h39’54”. Niente male per me.
White Marble Marathon e Maratona di San Valentino: 4°e 6°
Pubblicato mercoledì 21 Febbraio 2018 alle 22:51 da FrancescoConverto ogni giornata in autostima così come le stelle fondono l’idrogeno in elio e mi espongo a determinate influenze per eludere le forze contrarie della mediocrità, ma prendo atto di tutto questo in virtù di riscontri concreti e non sulla mendace base di uno stolto convincimento.
Avverto dentro di me una grande forza, ne sono pervaso e già ne posso prevedere gli ulteriori accrescimenti: rasento vette a cui non ero mai assurto prima.
Forse non faccio altro che raccogliere quanto ho seminato in anni di fruttuosa solitudine e intanto semino gli altrui fantasmi perché essi non riescono a tenere il mio passo, infatti si perdono nella scia altrettanto evanescente delle mie progressioni. Posso rovesciare gli eventi che mi riguardano, ma non tutte le tartarughe che si capovolgono lungo la mia strada: ognuno deve imparare a badare a se stesso. Da solo valgo moltissimo, mi sento una legione e al contempo non m’illudo che la mia condizione solipsistica sia la migliore possibile, tuttavia usufruisco dei suoi vantaggi strategici e sostanziali.
A distanza di tempo riesco a dare un senso compiuto al passato e unendone i frammenti posso ricavarne un utile mosaico. Non ho una sola virgola da cambiare in ciò che il fato ha scritto per me finora e spero che anche il mio DNA non abbia mai bisogno di correzione alcuna né di altri aggiustamenti. Il mio equilibrio si è attestato da quasi un anno su una linea avanzata e tutto procede come avevo previsto. Guardo l’orizzonte solo per intimidirlo e invito gli eventi a farsi avanti, ma d’altro canto essi non possono fare altrimenti. Non ho energie da recuperare e ormai posso soltanto espanderle, perciò non temo eventuali contrazioni delle medesime in un futuro che sia prossimo o remoto. Devo fare tesoro della nuova età dell’oro che ho cercato al mio interno, verso zone insondabili. Gli sforzi da me profusi sono stati ripagati lautamente e ne godo i risultati in un pacifico isolamento, dunque non ho pendenze con il divenire e non ho nulla di cui lamentarmi.
Ricordi, sogni, riflessioni di Carl Gustav Jung
Pubblicato giovedì 1 Febbraio 2018 alle 23:52 da FrancescoDurante gli ultimi anni ho letto più parti della produzione saggistica di Carl Gustav Jung ed era dunque una mera questione di tempo prima che approdassi alle pagine della sua autobiografia.
In realtà ”Ricordi, sogni, riflessioni” travalica gli angusti confini di una silloge aneddotica e fornisce una parziale sintesi dei concetti di cui il pensiero junghiano è portatore, difatti alcuni di essi emergono dal testo tramite la rievocazione degli eventi che portarono al loro sviluppo.
Sotto l’aspetto nozionistico non vi ho trovato quasi nulla che già non conoscessi, tuttavia si è rivelata comunque una lettura interessante e l’occasione per un utile ripasso, inoltre vi ho respirato la tensione interiore (non mediata da un linguaggio simbolico, come ne “Il libro rosso”) che accompagnò Jung per l’intero corso delle sue ineludibili ricerche.
A questo proposito sono incorso nuovamente in un paragone che già mi rimase impresso quando lo lessi per la prima volta altrove, ossia quello tra Jung e Nietzsche: il primo riuscì a controbilanciare l’impeto della sua vita interiore grazie all’esercizio della sua professione medica e alla presenza della propria famiglia, a differenza del secondo che nella propria vita ebbe soltanto i suoi pensieri e di questi finì per essere l’insana vittima.
Gli appunti che ho vergato a mano su un mio caro quaderno hanno tirato fuori elementi per me nient’affatto inediti e in particolare i seguenti: l’importanza degli archetipi, il ruolo di anima e animus come mediatori con l’inconscio a seconda del genere sessuale, le posizioni sui sogni e la libido di Jung in contrasto con quelle di Freud, il Sé quale scopo dello sviluppo psichico e il carattere non lineare della sua (possibile) evoluzione, la definizione di psichiatria come una “espressione articolata della reazione biologica di cui lo spirito cosiddetto sano fa esperienza alla vista della malattia mentale”, le forti variabilità di psicoterapia e analisi che sono pari alle variabilità degli individui, l’importanza della storia quale ausilio della psicologia dell’inconscio affinché essa riesca ad aggirarsi tra gli archetipi e, inoltre, le proiezioni di cui soffrono i legami affettivi che ostacolano la realizzazione di sé e di una certa oggettività.
C’è tuttavia una prospettiva che non ho còlto in altri testi di Jung o di cui forse, colpevolmente, non ho serbato memoria, ovvero l’ipotesi secondo la quale sia lecito supporre che uno sviluppo della coscienza possa agire sull’inconscio così come quest’ultimo agisce sulla prima.