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Tra le faglie prosaiche e intimi recessi

Continuo a fendere il tempo mentre attorno a me certe vite si comprimono come se si stessero avvicinando sempre di più alla superficie di Giove. Gli organi d’informazione emettono rigurgiti con cui dànno conto di accadimenti vomitevoli e i loro conati non sembrano mai contati, perciò le esagerazioni sono dazi che la realtà paga per la sua pallida rappresentazione.
Non sono trascinato dalla corrente degli eventi, bensì talora contemplo il suo scorrimento in uno scoramento per cui non v’è soccorrimento. Mi sono guadagnato un posto d’onore in una tribuna vuota per uno spettacolo che non c’è, ma non intendo cedere la mia poltrona per trasferirmi in una qualche messinscena. Rifuggo sempre di più dagli altrui latrati e le sporadiche aperture della mia persona sono fini a loro stesse, difatti non v’è nessuno a cui debba conferire i riguardi che siano propri di una degna accoglienza. L’isolamento mi giova oltremodo e mi consente di perorare i miei interessi in un ambiente controllato, senza troppi disturbi elettromagnetici, nella calma stagna di un modesto divenire. Mi chiedo dove si siano persi gli accorati appelli di un Io che fu e oggi capisco bene quale sia il grado di caducità che contraddistingue talune istanze di un individuo. L’inconsistenza di certi aneliti non appare sempre chiaramente benché di fatto ricopra le richieste a cui la volontà è chiamata a dare seguito, ma d’altro canto non v’è peggior cieco di chi non voglia vedere. In pochi secondi dei lampi di genio possono indurre gli occhi a voltarsi verso quanto invece brilli di luce propria. Accorro laddove gli squarci profondi di una realtà insondabile mi invitano a gettare lo sguardo, ma non riesco a presenziare a tutte le chiamate dell’ignoto e un po’ mi vergogno per l’assenza di una mia maggiore creanza.

Francesco

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