Sono assiso nella mia stanza dove pareti rosse mi proteggono dalle intemperie, ma per fortuna al mio interno non ho bisogno di trovare un riparo. Ricerco con attenzione le influenze a cui espormi e non condivido nulla di profondo con nessuno, tuttavia d’un tale stato di cose non faccio né un vanto né un rammarico. Vivo un periodo della mia esistenza nel quale detengo il pieno controllo di quest’ultima, e a tal proposito le riprove sono molteplici in quanto spesso pretendo di esibirmele, però non m’illudo che d’un simile controllo io possa conservare sempre il monopolio e dunque mi attendo frangenti meno rosei: sono pronto a eventuali impatti.
Tendo ad aspettarmi il peggio dal futuro (o quanto si candidi per avvicinarvisi) e il mio, non lo nego, è un atteggiamento di comodo, ma a onor del vero non posso escludere che prospettive del tutto diverse riescano a solidificarsi in gioie tanto tangibili quanto inopinate. Non mi chiudo in me stesso in quanto non ne ho bisogno e ormai non riuscirei a farlo neppure se lo volessi, bensì mi sento come un pianeta inesplorato, vergine, quale in effetti io sono, ma al contempo in preda di anni rigogliosi e di intuizioni sempreverdi che mantengono vivibile il mio ecosistema. Non ho lune e non mi sento al centro dell’universo, ma ne faccio parte e a questa constatazione non vedo cos’altro possa aggiungere per arricchirne la banalità.
I tumulti sociali e i cambiamenti dei singoli soggetti mi passano davanti come se fossero i sottotitoli di un vecchio film: tanto per me certe rappresentazioni sono comunque mute al pari di ciò che si prefiggono di rappresentare. I miei desideri sono un po’ arrugginiti, ma può darsi che un domani io decida di prepararne qualcuno per un nuovo collaudo: vi sono meccanismi rodati su cui l’azione erosiva del tempo è lenta, talora impercettibile.
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