Alla lettura de "Il codice cosmico” di Heinz R. Pagels ho fatto seguire poco più di un mese fa quella de “L’esplorazione dell’universo”, un saggio retrospettivo sulle conquiste spaziali di cui si è resa protagonista la mia specie.
Ho trovato ottima l’opera divulgativa di Priyamvada Natarajan, difatti rientra tra quei testi che risultano fruibili anche da chi non abbia un solido retroterra scientifico. Sono molteplici le note che ho vergato a mano su un mio sacro quaderno di appunti, più di quelle che qui accenno a malapena: il riconoscimento di Copernico quale primo studioso che abbia tentato di dare una spiegazione fisica ai moti dei pianeti, la predilezione di Einstein per un universo statico e la sua ritrosia verso la teoria dell’espansione di Hubble, il balzo dalla gravità newtoniana alla teoria della relatività generale quale raro esempio di ragionamento scientifico induttivo, le prime ipotesi (bistrattate) sulla materia oscura e il tentativo di chiamare in causa quest’ultima per spiegare la curvatura della luce negli ammassi galattici; la scoperta della radiazione cosmica di fondo e i tre scenari possibili per descrivere la fine dell’universo, quindi anche l’idea di costante cosmologica quale forza repulsiva che bilancia l’attrazione gravitazionale; l’impiego di supernove come candele standard in luogo delle Cefeidi e l’idea filosofica del principio antropico.
Sono simili resoconti che mi rammentano come allo stato dell’arte la tecnologia umana risulti piuttosto primitiva e quanto resti ancora da scoprire nel perenne superamento di cui la realtà si rende indefessa artefice nei confronti della fantasia.
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