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Il codice cosmico

Ormai sono del tutto avulso dalla fruizione di romanzi, perciò risultano appannaggio della saggistica di vario tipo le quote di tempo che riservo quasi ogni dì alla lettura.
Ho cercato a più riprese uno scritto divulgativo che mi permettesse un approccio indolore alla storia della fisica classica e della teoria quantistica, ovvero una trattazione nella quale le formule fossero ridotte al minimo indispensabile; purtroppo io non dispongo dei mezzi intellettuali per comprendere quanto e come dovrei l’eleganza descrittiva della matematica.
Alla fine la mia scelta è caduta su “Il codice cosmico” di Heinz R. Pagels. Si tratta di un libro il cui contenuto appare un po’ datato in quanto si arresta ai progressi degli anni ottanta, ma lo reputo comunque propedeutico per l’ottenimento di una visione d’insieme sul tema anzidetto che passi attraverso l’integrazione di testi più recenti.
Già dai ringraziamenti iniziali Pagels sottolinea quale sia la vocazione della sua opera, infatti egli ne riporta la causa prima nell’aneddoto di un simposio in cui Isidor Isaac Rabi fece notare ai colleghi come essi non si fossero mai “preoccupati di trasmettere l’emozione della loro ricerca a un pubblico più vasto”, aggiungendo che persino gli autori di fantascienza avevano fornito maggiori contributi in tal senso.
Della teoria quantistica a me interessano particolarmente le implicazioni filosofiche, esistenziali e quindi metafisiche; a tal proposito Pagels avverte il lettore di come taluni provino a tirare per i capelli certe scoperte con lo scopo di produrre degli improbabili parallelismi con un retaggio sapienziale dai contorni esoterici. È davvero buffo il sincretismo d’accatto, quasi quanto il terrore che lo ingenera. Oltre alle nozioni storiche, agli incidenti di percorso dovuti alla naturale ritrosia verso nuove idee, oltre alla lapide posta sul determinismo e all’innalzamento del simulacro probabilistico, oltre a ciò in cui per molto tempo la scienza non ha visto oltre, tra cui la riduzione in quark degli adroni; ecco, al di là di tutto questo ci sono tre punti che mi sono rimasti impressi: la non-località e quindi la violazione del principio di località con il ripensamento dello scibile che ne consegue, l’idea che l’universo derivi dalla rottura d’una simmetria originaria e infine l’impossibilità (che per me invero è un sollievo) di concepire attraverso il senso comune quanto presuppone la teoria quantistica.
A corredo di questo testo ne ho già trovato un altro, sempre edito da Bollati Boringhieri, che è più incentrato sulla cosmologia: “L’esplorazione dell’universo”, di Priyamvada Natarajan, anch’esso fruibile da chi come me non ha un certo retroterra culturale.
C’è una nota di colore scuro ne “Il codice cosmico”, difatti nelle ultime due pagine del libro Pagels riporta un suo sogno ricorrente e qualche anno più tardi egli morirà davvero nel modo anticipatogli dalle esperienze oniriche.

Francesco

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