Se sul punto di morte la vita mi passasse davanti io probabilmente non vedrei facce conosciute, ma tutt’al più delle figure confuse a cui chiederei la cortesia di non disturbare la replica delle puntate precedenti. Non ho bisogno di un senso per guarnire l’esistenza e non cerco la cura di una malattia immaginaria, ma capisco come taluni vedano nella reciproca comprensione la panacea di tutti i mali. Coltivo le mie abitudini e i miei interessi sul giardino pensile di una torre eburnea poiché là nient’altro vi cresce, tuttavia non escludo che un domani possa provare a piantarci l’albero della conoscenza.
Nel mio bucato non ci sono mai bandiere bianche né tappeti rossi, ma d’altro canto non ho rese da segnalare né ingressi trionfali da esibire. Non so cosa dire ed è per questa ragione che faccio scena muta, però non proferirei parola neanche se facessi la comparsa in un film di Chaplin. Se qualcuno mi leggesse potrebbe ravvisare in me una certa predilezione per le sequenze di negazioni, come se talora volessi semplificare ulteriormente un valore booleano. Sono a digiuno di certe esperienze perché non seguo una dieta basata sul cianuro, eppure non sento i morsi della fame. Anche gli uragani hanno nomi attraenti e portano distruzione, tuttavia non temo nulla per la mia isola che non c’è. Esisto a prescindere dalle conferme altrui ed è su questa premessa capitale che svetta il simulacro della mia libertà interiore. Forse appaio scontato persino alla mia ghiandola pineale, ma non posso essere originale a tutti i costi per dare più sapore a una minestra riscaldata, manco avessi dodici apostoli più uno a cena: c’è chi vuole una prova di dio (uno qualunque) e chi guarda la prova del cuoco. Di vaghezza si muore perché di vaghezza si vive, o forse no. In Oriente è cominciata un’offerta lampo per una bomba all’idrogeno in forma convenienza e mi chiedo a chi verrà consegnata.
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