Pubblicato sabato 30 Settembre 2017 alle 21:01 da
Francesco
La scorsa notte ho sognato il suicidio di una ragazza con cui in passato ho parlato a lungo: Sheila. Costei era piegata in terra, io la vedevo di spalle e tentavo di farla desistere dal gesto estremo, ma ogni mia parola non faceva altro che peggiorare la situazione e anche gli appelli di altre persone là presenti non sortivano effetto alcuno.
A un certo punto Sheila ha premuto il grilletto della pistola e si è sparata alla tempia sinistra: si è accasciata subito a terra, alla sua destra, ma io non l’ho più scorta poiché la sua figura è scomparsa dalla mia vista appena è caduta. A quel punto lo scenario del sogno è cambiato improvvisamente e mi sono ritrovato in una sorta di commissariato dove nutrivo un forte senso di colpa, ma nessuno mi aveva accusato di nulla ed ero libero di andarmene.
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Nel mio caso questo sogno può avere molteplici interpretazioni, ma in ognuna di esse il suicidio ha solamente un valore simbolico. Se non avessi riconosciuto la suicida avrei finito per ritenere quest’esperienza onirica come un monito contro il mio eventuale coinvolgimento nel fallimento di terzi, tuttavia devo considerare un’altra spiegazione in quanto l’identità della protagonista mi è risultata nota sin dall’inizio.
Quella ragazza, Sheila, è stata per un arco di tempo la depositaria di un mio investimento emotivo che ha rispettato ancora una volta i facili pronostici dell’inconcludenza, ma a quanto pare gli echi del suo distacco si sono protratti e suppongo che l’inconscio se ne sia avvalso per protestare contro l’assenza di relazioni sentimentali nella vita del sottoscritto.
Ormai mi sono reso conto che almeno un paio di volte all’anno l’inconscio mi tira simili scherzi benché le sue rimostranze cambino sempre modalità e contenuti: il mio inconscio ha il disco rotto e vorrebbe che attribuissi al mio cuore lo stesso guasto.
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Pubblicato giovedì 28 Settembre 2017 alle 12:27 da
Francesco
Ormai sono del tutto avulso dalla fruizione di romanzi, perciò risultano appannaggio della saggistica di vario tipo le quote di tempo che riservo quasi ogni dì alla lettura.
Ho cercato a più riprese uno scritto divulgativo che mi permettesse un approccio indolore alla storia della fisica classica e della teoria quantistica, ovvero una trattazione nella quale le formule fossero ridotte al minimo indispensabile; purtroppo io non dispongo dei mezzi intellettuali per comprendere quanto e come dovrei l’eleganza descrittiva della matematica.
Alla fine la mia scelta è caduta su “Il codice cosmico” di Heinz R. Pagels. Si tratta di un libro il cui contenuto appare un po’ datato in quanto si arresta ai progressi degli anni ottanta, ma lo reputo comunque propedeutico per l’ottenimento di una visione d’insieme sul tema anzidetto che passi attraverso l’integrazione di testi più recenti.
Già dai ringraziamenti iniziali Pagels sottolinea quale sia la vocazione della sua opera, infatti egli ne riporta la causa prima nell’aneddoto di un simposio in cui Isidor Isaac Rabi fece notare ai colleghi come essi non si fossero mai “preoccupati di trasmettere l’emozione della loro ricerca a un pubblico più vasto”, aggiungendo che persino gli autori di fantascienza avevano fornito maggiori contributi in tal senso.
Della teoria quantistica a me interessano particolarmente le implicazioni filosofiche, esistenziali e quindi metafisiche; a tal proposito Pagels avverte il lettore di come taluni provino a tirare per i capelli certe scoperte con lo scopo di produrre degli improbabili parallelismi con un retaggio sapienziale dai contorni esoterici. È davvero buffo il sincretismo d’accatto, quasi quanto il terrore che lo ingenera. Oltre alle nozioni storiche, agli incidenti di percorso dovuti alla naturale ritrosia verso nuove idee, oltre alla lapide posta sul determinismo e all’innalzamento del simulacro probabilistico, oltre a ciò in cui per molto tempo la scienza non ha visto oltre, tra cui la riduzione in quark degli adroni; ecco, al di là di tutto questo ci sono tre punti che mi sono rimasti impressi: la non-località e quindi la violazione del principio di località con il ripensamento dello scibile che ne consegue, l’idea che l’universo derivi dalla rottura d’una simmetria originaria e infine l’impossibilità (che per me invero è un sollievo) di concepire attraverso il senso comune quanto presuppone la teoria quantistica.
A corredo di questo testo ne ho già trovato un altro, sempre edito da Bollati Boringhieri, che è più incentrato sulla cosmologia: “L’esplorazione dell’universo”, di Priyamvada Natarajan, anch’esso fruibile da chi come me non ha un certo retroterra culturale.
C’è una nota di colore scuro ne “Il codice cosmico”, difatti nelle ultime due pagine del libro Pagels riporta un suo sogno ricorrente e qualche anno più tardi egli morirà davvero nel modo anticipatogli dalle esperienze oniriche.
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Pubblicato martedì 19 Settembre 2017 alle 18:32 da
Francesco
Nel weekend mi sono recato in Emilia Romagna perché domenica dovevo prendere parte alla Maratona dell’Alzheimer. Il pomeriggio di sabato l’ho trascorso a Cesena: una città davvero graziosa e ben curata. Ho anche fatto delle immancabili capatine in certi posti: anzitutto in una libreria, dove ho acquistato un saggio di Priyamvada Nataraja sull’esplorazione dell’universo; poi mi sono diretto alla volta di un negozio di dischi dove ho comprato tre vinili usati di mio gradimento, in particolare “Modern Times” degli Steps Ahead.
L’indomani mi sono svegliato di buona lena per recarmi alla partenza della gara in quel di Mercato Saraceno. Avevo intenzione di compiere un avvio prudente, ma i miei buoni propositi sono andati in frantumi in 3’36”, ovvero il tempo che ho impiegato a percorrere i primi mille metri. Ho lasciato andare i primi due perché erano di un’altra caratura e così mi sono mantenuto in terza posizione a cercare la regolarità del passo su un percorso ondulato. Le gambe giravano bene, fin troppo, il clima era ottimo e le motivazioni giuste.
Al diciassettesimo chilometro sono stato raggiunto dal quarto, ma non sono riuscito subito a capire se egli fosse in progressione od osasse più del dovuto: l’ho intuito in seguito dal suo respiro. A un certo punto un signore in bici ha comunicato a me e al mio compagno d’avventura che il quinto era scoppiato nel tentativo di farsi sotto e io ho commentato la notizia così: “La maratona è anche questo!”.
Al ventisettesimo chilometro mi sono staccato dal quarto e ho proseguito verso una fresca clemenza eolica che mi ha infuso ulteriore vigore. Sono passato alla mezza maratona in 1h23’22”, poi ho perso qualcosa ma la frazione degli ultimi sedici chilometri l’ho corsa alla notevole andatura di 3’52”! Ho tagliato il traguardo in 2h47’22”, terzo assoluto! Anche questa volta non ho assunto solidi, ma soltanto due bicchieri d’acqua e uno di sali: metà d’ogni razione l’ho bevuta e l’altra me la sono gettata in faccia. Non ho preso nessuno dei due gel di cui disponevo, infatti ipotizzavo che la loro assunzione in quei frangenti potesse procurarmi dei disturbi intestinali. Alla fine sono rimasto molto soddisfatto della mia prestazione per varie ragioni. Questa è stata la mia decima maratona e l’ho festeggiata con un nuovo record personale, per me il più importante perché lo cercavo da tempo sulla distanza regina, e poi con un podio difficilmente ripetibile: non potevo davvero chiedere di meglio. Ci tengo sempre a sottolineare quanto io mi consideri appagato anche sotto l’aspetto tecnico, difatti sono il mio allenatore e negli ultimi quattro mesi ho avuto soltanto riscontri positivi alle teorie che ho applicato su di me! Sono stato davvero contento di salire sul podio con degli atleti molto più forti del sottoscritto. Rinnovo i miei complimenti all’organizzazione: impeccabile!
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Pubblicato venerdì 15 Settembre 2017 alle 17:52 da
Francesco
La cancellazione del passato non è una vocazione recente, ma già nella Roma repubblicana era una pratica tutt’altro che inconsueta. Dell’iconoclastia invece i bizantini non hanno scritto grandi pagine, tutt’al più hanno distrutto quelle che contenevano immagini sacre, però ne hanno fornito esempi straordinari.
In quest’epoca di stucchevole buonismo vi sono certi gaglioffi che vorrebbero modificare il retaggio architettonico del ventennio fascista, tuttavia presumo che costoro caldeggino simili proposte con l’unico scopo di rimediare un po’ di facile visibilità per la loro carriera politica in netto declino. Non mi sorprendono mai le vette di stoltezza a cui riescono ad assurgere certuni, difatti credo che non vi sia modo di mettere un freno all’idiozia così come non lo si può porre alla provvidenza. Per illustrare cotanta pochezza non vedo la necessità di scomodare un iperbolico e risibile paragone con l’opera di distruzione che ha compiuto Daesh nel Medio Oriente, ma i vili di casa mia, miei connazionali sulla carta ancorché de facto stranieri (e giammai profeti) in patria, meritano anche siffatte canzonature.
Mi fa sorridere l’idea che qualche sincero democratico (o presunto tale) voglia vietare certi gesti e determinati simboli, equiparandone l’esibizione sotto il profilo penale a reati di ben altro spessore; proposte del genere avallano vieppiù il mio convincimento secondo cui la vera uguaglianza degli esseri umani si trovi nella reciproca tendenza alla sopraffazione.
Talvolta alcune proibizioni instillano un ulteriore vigore in ciò che viene proibito e così ne incrementano la forza, ma non mi sorprende che a certi somari una simile idea non passi neanche per l’anticamera del cervello. I divieti risultano strumenti efficaci soltanto in precise circostanze e vi sono invece dei casi in cui questi sortiscono effetti contrari ai loro intenti, perciò il loro savio ricorso spetta a intelletti che sappiano discernerne l’opportunità.
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Pubblicato giovedì 7 Settembre 2017 alle 19:08 da
Francesco
Se sul punto di morte la vita mi passasse davanti io probabilmente non vedrei facce conosciute, ma tutt’al più delle figure confuse a cui chiederei la cortesia di non disturbare la replica delle puntate precedenti. Non ho bisogno di un senso per guarnire l’esistenza e non cerco la cura di una malattia immaginaria, ma capisco come taluni vedano nella reciproca comprensione la panacea di tutti i mali. Coltivo le mie abitudini e i miei interessi sul giardino pensile di una torre eburnea poiché là nient’altro vi cresce, tuttavia non escludo che un domani possa provare a piantarci l’albero della conoscenza.
Nel mio bucato non ci sono mai bandiere bianche né tappeti rossi, ma d’altro canto non ho rese da segnalare né ingressi trionfali da esibire. Non so cosa dire ed è per questa ragione che faccio scena muta, però non proferirei parola neanche se facessi la comparsa in un film di Chaplin. Se qualcuno mi leggesse potrebbe ravvisare in me una certa predilezione per le sequenze di negazioni, come se talora volessi semplificare ulteriormente un valore booleano. Sono a digiuno di certe esperienze perché non seguo una dieta basata sul cianuro, eppure non sento i morsi della fame. Anche gli uragani hanno nomi attraenti e portano distruzione, tuttavia non temo nulla per la mia isola che non c’è. Esisto a prescindere dalle conferme altrui ed è su questa premessa capitale che svetta il simulacro della mia libertà interiore. Forse appaio scontato persino alla mia ghiandola pineale, ma non posso essere originale a tutti i costi per dare più sapore a una minestra riscaldata, manco avessi dodici apostoli più uno a cena: c’è chi vuole una prova di dio (uno qualunque) e chi guarda la prova del cuoco. Di vaghezza si muore perché di vaghezza si vive, o forse no. In Oriente è cominciata un’offerta lampo per una bomba all’idrogeno in forma convenienza e mi chiedo a chi verrà consegnata.
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