Pubblicato domenica 27 Agosto 2017 alle 13:40 da
Francesco
Ultime dai campi. Se volessi potrei scrivere di molte altre cose invece di fornire sterili resoconti del mio agonismo, ma al momento non avverto la necessità di spiccare qualche volo pindarico. Le parole si trascinano da sole, talora strisciando nell’inutilità che defecano esse stesse.
Venerdì mi sono recato nella capitale d'Italia per partecipare alla quarta edizione della Roma by Night Run, una mezza maratona che parte alle dieci di sera e si snoda in buona parte tra i quartieri Flaminio e Parioli. La mia prestazione è stata buona, ho conseguito il mio record personale sulla distanza con un'ora, diciassette minuti e trenta secondi, mi sono classificato sesto assoluto e primo di categoria, ma non sono stato premiato perché non appartengo a una società FIDAL: l'importante è che io mi sia imposto sulla strada. Malgrado la buona prova, la mia gara è stata viziata da due errori di percorso che hanno coinvolto anche altri atleti, tanto che a un certo punto ho pensato di ritirarmi, ma poi uno del gruppo di testa ha fatto prevalere la ragione sulla rabbia e ha convinto noi altri a continuare: non ricordo chi fosse costui, ma devo ammettere che in quel momento mi ha dato una bella lezione di vita. Chapeau. Non parteciperò mai più questa gara benché offra l'insolita e attraente possibilità di correre nottetempo a Roma per ventuno chilometri: vi trovo troppo pressapochismo di cui è conseguenza anche la scarsa illuminazione in certi punti del percorso.
Il sedici agosto ho preso parte alla gara più antica della Maremma, ovvero la quarantottesima edizione della Sovana Sorano in cui mi sono classificato al terzo posto. Ho corso la discesa dell’ottavo chilometro in appena tre minuti e due secondi prima di affrontare la salita finale, perciò sono rimasto molto soddisfatto della mia performance.
Il cinque agosto mi sono presentato alla partenza della gara de La Guaita in quel di Travale, un borgo piccolissimo in cui sembra che il tempo si sia fermato e dove la lingua volgare affonda le sue radici. Il percorso presentava discese ripide e salite dalle pendenze altrettanto importanti. Alla fine, malgrado il caldo asfissiante, mi sono classificato al quarto posto e primo di categoria.
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Pubblicato giovedì 17 Agosto 2017 alle 22:31 da
Francesco
Non faccio di cognome Voltaire e non sento mie le citazioni sulla tolleranza che gli vengono attribuite, perciò sono del tutto disinteressato all’altrui diritto di esprimere opinioni che non siano affini alle mie. L’unico confronto che abbia senso è quello armato, il resto è puro vaniloquio come questo mio trascurabile scritto.
A me piace il rigore con cui la realtà dei fatti (non quella quantica) si impone sulle erronee interpretazioni che di quest’ultima dànno uomini e donne privi di acume.
Non so ancora quantificare l’idiozia di chiunque postuli come ogni etnia e qualsiasi culto religioso possano convivere in un pacifico melting pot, magari adorno di arcobaleni, gessetti colorati e unicorni al pascolo.
Una società forte non ha paura degli stranieri né dell’Islam, ma fa in modo che i primi e il secondo temano lei. Le storture garantistiche del cosiddetto stato di diritto sono il risultato di un indebolimento dell’Occidente, flemma che tra l’altro fu profetizzata con largo anticipo da giganti del pensiero come Nietzsche e Cioran.
Non credo molto nella pena di morte come deterrente o giusto castigo, bensì nutro una fede smisurata nel ricorso alla tortura.
Lo scrivo in termini junghiani: in Europa lo spirito del tempo è improntato all’inettitudine e alla debolezza, in evidente contraddizione con lo spirito del profondo: questa sperequazione concede a fazioni allogene degli spazi per colpire gli occidentali e gli attentati terroristici sono soltanto il culmine di altre, quotidiane e spesso sottaciute angherie.
Soltanto la violenza può contenere la violenza, perciò intravedo una resistenza freudiana in ogni negazione di questa verità capitale di cui la storia è ancor oggi testimone.
Le utopistiche visioni di una pacifica convivenza dei popoli vanno in frantumi al cospetto della natura umana, scricchiolano e si sbriciolano come le ossa di chi finisce sotto i furgoni degli attentatori. Non ci si può liberare del retaggio atavico per decreto ed è bene che qualcuno se lo metta in testa, almeno fino a quando gli sarà concesso il lusso di averla attaccata al collo.
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Pubblicato giovedì 10 Agosto 2017 alle 01:23 da
Francesco
In questo torrido agosto non mi sciolgo al Sole, ma affronto la fotonica presenza della nostra stella col petto in fuori e il furore dei giorni migliori, difatti non mi risparmio con gli allenamenti e mi trovo dunque in piena sintonia col mio coach, che sono sempre io.
Ogni tanto mi riparo all’ombra del mio buonumore e riesco a godermi i posti a cui appartengo senza la minima gelosia per le fiumane di turisti che in questi giorni vi si riversano in maniera più o meno ordinata. Ancora rammento i foschi presagi che minacciavano la mia estate quand’io immaginavo quest’ultima dalle tiepide giornate di primavera, ma alla fine gli eventi hanno preso una buona piega e ho potuto girare pagina senza che sorgesse in me il bisogno irrefrenabile di strapparla. Non mi sovviene nulla di più piacevole del contrasto che si crea quando raccolgo la fatica alla fine di un allenamento e la getto nel refrigerio di cui sono capaci le acque cristalline dell’Argentario. Non amo contemplare il mare come chi vi ricerchi un po’ d’infinito, ma preferisco esserne un salmastro partecipe. Rimango a galla osservando come tutto il resto sprofondi e il buonsenso affoghi tra i vortici del buonismo.
Io mi godo un po’ di maestrale mentre nella penisola coreana spirano venti di guerra che non escludono la prospettiva di un inverno nucleare. Mi auguro che gli Stati Uniti tornino a fare gli sceriffi del mondo meglio di quanto abbiano fatto dall’inizio del millennio corrente.
A quest’ora taluni dormono già da un pezzo, qualcun altro sta morendo e per altri sta suonando la sveglia; qualcuno invece è appena nato sotto il segno del leone e forse quando sarà grande deciderà se dargli peso o meno rispetto alla precessione degli equinozi. Intanto io non aspetto Godot e non inseguo il treno su cui non sono riuscito a salire in tempo, ma attendo dei salvifici rovesci: secondo la citazione di un film dozzinale “non può piovere per sempre” e difatti a me basterebbe che un modesto temporale durasse un paio di giorni.
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