Dopo la lettura de Il Kybalion mi ero ripromesso di andare a ritroso nella letteratura ermetica, perciò ho scelto di recuperare il Corpus hermeticum di Ermete Trismegisto, o meglio, dei vari autori che in tempi diversi hanno partecipato a questa silloge.
Non è stata una lettura sorprendente poiché dei molteplici concetti ivi presenti avevo già recepito gli echi negli scritti di Jung e in altre opere dal tenore vagamente esoterico.
Di questo testo sapienzale ho vergato a mano solo uno sparuto numero di appunti sul mio pregiato quaderno, perciò ne allego qui ancor meno e di più sintetici a mio uso e consumo.
Primo: l’uomo terreno è un dio mortale, il dio celeste è un uomo immortale. Il possesso del Logos può consentire a certi uomini di subire il destino in modo diverso rispetto ad altri: su questo punto, con un salto d’oltre mille anni, mi vengono in mente delle analogie con l’amor fati di Nietzsche. Nei vari trattati v’è poi la presenza a più riprese di una cosmologia emanatistica che rimanda al neoplatonismo (o viceversa? Misteri della datazione).
“La verità rivelata non può essere divulgata senza che venga automaticamente screditata e calunniata”: non ricordo se abbia sintetizzato questo concetto o se sia proprio un virgolettato, ma si tratta di un monito ricorrente e spesso sotteso a più insegnamenti.
Infine: la preminenza del Nous nel contatto divino e quindi la superiorità dell’intelletto sull’anima la quale, invece, svolge un ruolo di intermediaria ed è suscettibile alle passioni poiché si ritrova circondata dal corpo.
Il libro di Orna Donath è un saggio di sociologia su un tabù che forse è più sentito nella società israeliana (sulla quale è imperniato l’approccio) che in quella italiana, ossia il pentimento di alcune donne per le loro maternità.
Non si tratta di un’analisi viziata da un femminismo fuori tempo massimo benché a mio parere un po’ ve ne sia (cum grano salis).
Il rimpianto materno non si traduce necessariamente in un desiderio infanticida e anzi, a volte presta il fianco al paradosso per cui certe madri amano i propri figli ma al contempo vorrebbero che essi non fossero mai venuti al mondo. Mi sembra del tutto demenziale l’idea che ogni donna sia più o meno predisposta al ruolo di madre e abbia addirittura in sé questa vocazione, perciò non mi sorprende che vada per la maggiore in certe tradizioni millenarie.
Cosa non si fa per la specie.
Indagare le ragioni prime di alcuni concepimenti è un po’ come mettere il dito nella piaga mentre l’altra mano scoperchia il vaso di Pandora, ma d’altro canto l’ammissione di un errore tanto grave è difficile.
Le madri che si sono prestate allo studio (sotto una falsa identità) appartengono a fasce d’età e contesti diversi, a riprova di come talora la ritrosia (quando non la repulsione) per tale figura non sia una questione squisitamente economica, lavorativa o affettiva.
Tra le molteplici testimonianze ve ne sono alcune piuttosto caustiche che mi hanno persino fatto ridere di gusto.
Io stesso ho chiesto conto alla mia genitrice di un suo eventuale pentimento per la mia procreazione e lei ha risposto negativamente, ma chissà se altrettanto sinceramente.
Non avrei appreso a malincuore il possibile rimpianto di mia madre per la mia nascita, difatti sono un cultore dell’aseità e credo che il vero banco di prova dei rapporti umani si svolga nel regno dei legami non consanguinei (o laddove la consanguineità risulti ignota), ma questo è un altro discorso.
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