Pubblicato giovedì 27 Aprile 2017 alle 20:56 da
Francesco
Per me le immagini della sonda Cassini hanno un duplice fascino perché oltre a quello scientifico ve ne ravviso anche uno esistenziale. Il viaggio interplanetario tra la Terra e Saturno è poca cosa rispetto alle distanze dell’universo, infatti concerne lo spazio di un semplice sistema solare alla periferia di una galassia che ne contiene altri miliardi di simili, eppure riesce lo stesso a destare in me un certo stupore. Purtroppo o per fortuna la vita umana è troppo breve rispetto ai tempi che il cosmo impiega per mostrare cambiamenti apprezzabili di ciò che lo compone, ma proprio in ragione di quest’appurata inconoscibilità finisco per provare un certo imbarazzo nei confronti della prosaica routine di cui sono correo.
Una mia utopia vuole che il mondo si mantenga diviso in nazioni e al contempo sia unito nella vocazione per la scoperta dell’universo, circostanza che in parte già sussiste nel comune lavoro di NASA ed ESA. Sono innumerevoli le beghe di cui i governi terrestri devono occuparsi per le faccende interne, perciò vi sono innumerevoli risorse che non possono essere distratte verso l’esplorazione spaziale, ma confido che un domani, qualora il genere umano non abbia cura di estinguersi prima, sarà ancora una volta le téchne (nella sua accezione greca) a risolvere tutto e di certo non qualche culto monoteistico che già oggi dovrebbe essere considerato al pari di una malattia mentale. C’è qualcosa di poetico, malinconico, titanico, prometeico, futuribile e avvincente nell’ultima immagine con cui la sonda Cassini ha immortalato la Terra mentre si trovava tra gli anelli di Saturno. È facile che l’immaginazione voli quando la mente si trovi a ragionare sul futuro dell’esplorazione spaziale, però io credo che la realtà superi sempre la fantasia e vorrei che tale superamento avvenisse con la propulsione a curvatura.
Appena ho visto l’immagine qui sopra me ne è venuta in mente subito un’altra, ovvero quella che la sonda Voyager 1 catturò nel 1990 mentre usciva dal sistema solare e su cui Carl Sagan ha speso delle parole memorabili: “Guardate ancora quel punto. È qui. È casa. Siamo noi. Su di esso, tutti quelli che amate, tutti quelli di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di presuntuose religioni, ideologie e dottrine economiche, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e suddito, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un granello di polvere sospeso dentro un raggio di sole”.
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Pubblicato mercoledì 26 Aprile 2017 alle 18:22 da
Francesco
Quest’oggi sulle testate online di alcuni giornali ho letto degli articoli catastrofistici in merito al numero di laureati in Italia, tuttavia non credo che il titolo di studio in questione sia poi così importante e difatti neanche l’attuale ministro dell’istruzione (il maschile è voluto) ne dispone.
Le lauree non godono tutte del medesimo peso e ve ne sono certe piuttosto risibili che hanno come sbocco preminente quello del precariato. L’iter universitario comporta un investimento che non è sempre facile ammortizzare e immagino che taluni lo evitino di proposito benché siano intellettualmente attrezzati per affrontarlo. Tra i miei conoscenti ve ne sono diversi che hanno conseguito una triennale in tempi biblici e sono poi finiti a svolgere delle mansioni da cui altri loro coetanei, forti della sola terza media, già traggono reddito da svariati anni.
Non ho mai messo piede in un ateneo e il tempo mi ha dato ragione per questa scelta, difatti la laurea non ha più il valore di alcuni decenni fa poiché si è inflazionata e al contempo è cambiato il mondo, ma pare che quel pezzo di carta abbia conservato l’appeal borghese, come se fosse ancora un traguardo obbligatorio per una vita migliore. Col senno di poi a diciannove anni avrei dovuto tentare l’arruolamento nella Legione Straniera con la ferma minima di un lustro, ma al tramonto dell’adolescenza non mi rendevo conto che mi trovavo all’alba della vita.
Più volte mia madre mi ha implorato col cuore in mano di iscrivermi a una qualsiasi facoltà per coltivare dei rapporti sociali, ma a differenza di altri non sono mai stato attratto dalla vita delle metropoli e ho preferito rimanere laddove sono cresciuto. Forse se avessi frequentato un polo universitario avrei trovato una ragazza e sarei entrato in una cerchia di amicizie, ma se le cose fossero andate davvero così avrei finito per apprendere meno nozioni di quante me ne sono procurate da autodidatta e avrei poi scontato con un malessere esistenziale la pochezza di quelle vacue socializzazioni, senza per altro contare l’esborso economico che un simile scempio del mio tempo avrebbe richiesto.
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Pubblicato mercoledì 19 Aprile 2017 alle 13:32 da
Francesco
Sono giunto alla fine di Psicologia e alchimia di Carl Gustav Jung, un libro di cui per lungo tempo avevo rimandato lo studio e la lettura. La concezione dell’alchimia come semplice antesignana della chimica mi dà l’idea della stessa confusione che sussiste tra l’aurum vulgi, ovvero l’oro del volgo, e ciò a cui invece punta davvero il processo di trasmutazione, ossia l’aurum nostrum.
Jung ha cura di sottolineare l’aspetto psicologico del processo alchemico ed equipara la prima materia (in quanto base dell’Opus) a un contenuto psichico autonomo il quale, in ragione del suo carattere soggettivo, sfugge a ogni definizione, inoltre egli precisa come la proiezione di questo contenuto sia inconscia. Le considerazioni di cui sopra fanno il paio con i due aspetti fondamentali dell’alchimia, ovvero la pratica del laboratorio e il processo psicologico che è in parte conscio, in parte inconscio. Per Jung la nigredo (cioè la prima fase dell’opera alchemica) ha una corrispondenza psicologica con l’incontro della cosiddetta Ombra; la sostanza trasformante ha la duplice qualità di materia vile (resa da allegorie diaboliche) e allo stesso tempo presenta un carattere prezioso, persino divino: è questa che conduce dall’infimo, al supremo, dall’animale infantile e arcaico all’homo maximus mistico. Oltre a simili idee e alle loro più precise implicazioni v’è un’ipotesi che ha catturato il mio interesse: mi riferisco a quella secondo la quale così come vi sono stati giacenti al di sotto della coscienza, ve ne possono essere altri al di sopra di essa.
Ho trovato stimolanti i parallelismi tra il Lapis e Cristo benché il concetto del primo affondi le sue radici ben più in profondità rispetto alla figura del secondo, e ho appreso con ancor maggiore interesse la differenza tra lo scopo dell’alchimia e il fine del cristianesimo: la prima non ha come priorità la redenzione dell’uomo, caratteristica che è invece preminente nel secondo, ma vuole redimere la divinità che è perduta e dormiente nella materia. Sempre in merito al rapporto tra l’alchimia e la dottrina cristiana mi ha fatto sorridere una piccola verità di Jung sulla nascita dei Rosacroce, ovvero che la ragion d’essere delle società segrete è quella di mantenere in vita la forma di un segreto a cui sia venuta meno la sua sostanza: ho incontrato quest’affermazione nella parte conclusiva del libro, precisamente quando Jung scrive del declino dell’alchimia e ne colloca l’inizio al diciassettesimo secolo.
Mi sono poi imbattuto in utili considerazioni a corredo della tematica principale; il concetto di Sé, ribadito ancora una volta come comprensivo di coscienza e inconscio di cui è, appunto, il centro così come l’Io è il centro della coscienza, tuttavia anche l’assunto per il quale una conoscenza che sia soltanto intellettuale non basti a liberare il soggetto dall’infanzia e di come per tale scopo sia necessario un approccio in cui il ricordare sia anche un rivivere. Ancora in merito al Sé mi ha colpito una critica che viene rivolta a chi lo inquadri entro i limiti della psiche individuale: per Jung questa è una riduzione arbitraria e non scientifica.
A conclusione di questi miei sparuti appunti ricorro a una citazione di Maria Prophetissa che mi ha sedotto a prima vista: “L’’Uno diventa Due, i Due diventano Tre, e per mezzo del Terzo il Quarto compie l’Unità”.
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Pubblicato mercoledì 12 Aprile 2017 alle 19:10 da
Francesco
Non ho frequentato la bottega del Verrocchio e non sono mai stato un appassionato del fai da te, ma volevo mettere alla prova la mia manualità e così nell’arco di un paio di mesi ho realizzato un vecchio cabinato da sala giochi.
Non avevo mai tagliato il legno con un seghetto alternativo, quindi sono rimasto tanto soddisfatto per il risultato quanto per la conservazione di tutte e dieci le dita.
Le proporzioni non rispecchiano proprio la sezione aurea, ma è il mio cabinato, l’ho fatto io e dunque, a fronte dei suoi difetti, gli voglio bene come se fosse un figlio per il quale percepissi un assegno di accompagnamento.
Ho utilizzato un Raspberry Pi 3 Model B, Retropie come sistema operativo e dei comandi arcade Xsource per i quali ho forato gli opportuni alloggiamenti; poi un vecchio monitor da quindici pollici (rimediato su eBay) con un adattatore da VGA a HDMI (difatti il Raspberry ha solo quest’ultima uscita video), un paio di casse alimentate via USB da 7,99€, legno dell’OBI, una tastiera riciclata e un paraspigoli di gomma. Per una questione di predilezione cromatica ho poi verniciato il tutto di rosso.
Per adesso ci faccio girare il MAME con le ROM del set 0.78 perché come emulatore ho scelto la stabilità del lr-mame2003.
La prossima volta conto di progettare un’autobomba.
Errata corrige: ho detto “of improvement” invece di “for improvement”.
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Pubblicato sabato 8 Aprile 2017 alle 14:07 da
Francesco
A differenza di altri io non nutro certezze granitiche sugli eventi di geopolitica. Qualche giorno fa non ero a Idlib, in Siria, ma a Grosseto per acquistare delle cialde al ginseng, quindi non ho assistito in prima persona all’attacco col gas sarin e quanto ho letto non mi ha fornito elementi sufficienti per comprenderne la paternità.
Bashard al-Assad ha il physique du rôle del dittatore novecentesco, Donald Trump invece mi sembra più una pop star al potere, ma il mio immaginario trova del buono in entrambi e quindi è un po’ come se fossi lacerato per la lite di due buoni amici. A dire il vero il mio leader prediletto nell’epoca attuale resta Rodrigo Duterte, ma questa è un’altra storia. Per me il solo guaio della guerra è costituito dalle vittime innocenti, ma non traduco questa banalità in un’accoglienza a braccia aperte per ogni disgraziato che s’incammini verso l’Europa, tanto meno per i cosiddetti migranti economici. Rispetto molto i curdi in quanto a differenza di altre etnie non scappano in massa, ma rivendicano un territorio che manco esiste sulle carte geografiche e combattono nel fuoco incrociato di Turchia, Siria e Daesh: persino le curde (sotto la sigla YPJ) affrontano gli uomini di al-Baghdadi e i jihadisti le temono in quanto la morte per mano di una donna nega loro l’accesso al paradiso.
Mi domando se l’iniziativa statunitense sia il principio di una rapida escalation verso la Terza guerra mondiale, magari con l’ausilio di armamenti nucleari; per Einstein la Quarta si combatterà coi bastoni e forse sarà l’occasione per riscoprirsi bambini ancorché orfani. Non parteggio per gli alti valori che traboccano dai trattati internazionali o dalle costituzioni, ma spero che l’Occidente prevalga e rivaluti i suoi nazionalismi europei per difendersi dalle ondate migratorie.
A me pare evidente come il ritrovato clima da guerra fredda suggerisca un revival degli anni ottanta, perciò sarà mia cura rivedere tutti gli episodi di Miami Vice e i tanti film che il machismo di Hollywood ha donato all’umanità.
La storia insegna quanto il limes sia importante, difatti l’Impero Romano cadde proprio quando tentò d’integrare i popoli barbari per affrontare il problema della natalità, ma è anche vero che essa tende a ripetersi. Non m’illudo che i confini attuali restino inalterati in saecula saeculorum, ma confido comunque in una loro longevità.
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Pubblicato giovedì 6 Aprile 2017 alle 12:36 da
Francesco
Dei ricercatori dell’Università di Stanford hanno svelato un nuovo tipo di neuroni che dimostra come vi sia una relazione diretta tra il ritmo del respiro e lo stato d’allerta. Gli studiosi hanno provato a sopprimere queste cellule nervose su alcuni topi e hanno constatato quanto una simile modifica abbia prodotto nei roditori un rallentamento della respirazione, nonché una maggiore rilassatezza nel loro comportamento.
Una delle conclusioni di questa ricerca conduce a un’ovvietà della conoscenza vedica, ovvero all’influenza del respiro sulla mente e nella fattispecie sui livelli di stress, ma se un’ipotesi simile (che nella pratica è una certezza millenaria) fosse l’unico prodotto di quest’esperimento, allora vi scorgerei una rivoluzione pari alla proverbiale scoperta dell’acqua calda: invero le possibili implicazioni sono altre. I neuroni in questione producono delle proteine peculiari, perciò, qualora gli scienziati ne conseguissero una conoscenza sufficiente, potrebbero puntare allo sviluppo di farmaci specifici per controllarne l’attività.
La notizia di questa scoperta mi ha ricordato quanto sia opportuno che io riprenda al più presto la pratica del pranayama, difatti ancorché da autodidatta avevo iniziato a esperirne i benefici ed è stata soltanto l’incostanza dei miei primi approcci che mi ha impedito di approfondire le tecniche respiratorie.
Qui v’è il comunicato stampa della facoltà di medicina dell’Università di Stanford.
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Pubblicato sabato 1 Aprile 2017 alle 03:01 da
Francesco
Conduco una vita anomala che è caratterizzata da un forte isolamento e dalla ferma volontà di non contribuire alla continuazione della specie, perciò ogni tanto, per farmi coraggio, parlo a me stesso con più convinzione del solito. Sono sempre stato solo nei miei momenti migliori e anche con il senno di poi sono contento che non ci sia stata una diretta condivisione di quei picchi esistenziali, ma altrettanto sinceramente ammetto che in diverse occasioni avrei avuto bisogno di un abbraccio o d'una parola di conforto. Allorquando riesco a parlarmi saggiamente in me si risveglia un'immagine archetipica che mi infonde nuove energie: è come se mi trovassi di notte al centro di una radura e all'improvviso, uno o due alla volta, i membri della mia tribù uscissero dalla foresta con i volti dipinti per battere ritmicamente in terra i loro bastoni, così da incitarmi a una nuova ordalia. Per me quella dell'inconscio collettivo non è una semplice teoria, bensì un'esperienza diretta di cui Carl Gustav Jung prima e meglio di altri ha saputo dare conto.
Non ho ancora sviluppato un sincero disinteresse verso il futuro, ma vi è senza dubbio in me uno spontaneo e progressivo scollamento dall'avvenire per il quale, comunque, non posso escludere a priori un'eventuale inversione di tendenza. Talora attraverso dei periodi, come l'attuale, in cui sento la prossimità della fine, ma non sempre riesco a capire subito se nelle vicinanze aleggi l'ombra della morte o se invece, caso più probabile, si tratti della conclusione di una fase transitoria a cui inesorabilmente deve seguire un nuovo inizio.
Mi atterrisce la ciclicità dell'esistenza, la trovo addirittura demenziale, però l'eterno ritorno dell'uguale era un fatto assodato già prima che Nietzsche lo nobilitasse. Non mi attendo nulla di buono dai giorni che devono ancora venire, ma neanche alimento la trepida attesa per le peggiori catastrofi. Sono pronto a seguire la parabola discendente per giungere a quella che spero sia una dolce e tarda scomparsa, tuttavia non so cosa abbiano in serbo per me gli eventi e la mia unica certezza è che io non morirò di curiosità: forse di vecchiaia, per una malattia fulminante, in un incidente domestico o stradale, magari in un attentato di matrice islamica, ma non di curiosità, ne sono sicuro.
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