Pubblicato lunedì 20 Marzo 2017 alle 14:56 da
Francesco
Ferrara è un piccolo gioiello con tutte le sue meraviglie estensi e ieri vi ho corso la mia nona maratona, anch’essa sotto il muro psicologico delle tre ore come le precedenti otto, ma dopo l’arrivo al traguardo mi sono fatto una bella doccia calda e poi ho macinato altri chilometri a piedi per fare un tuffo nel Rinascimento.
Per raggiungere la città ho avuto di nuovo quel problemino col navigatore della mia auto, difatti a tutta prima ho pensato che il TomTom mi avesse condotto ancora una volta laddove Mugabe è un eroe nazionale e il voodoo una scienza esatta. Chissà che ne sarà di città come Ferrara quando il suicidio etnico sarà completato.
La gara è andata bene e come ho già accennato anche questa volta sono sceso sotto le tre ore, difatti ho impiegato 2h56’32”: sono arrivato diciottesimo assoluto e terzo di categoria.
Non ho inseguito il mio record personale, ma fino al trentacinquesimo ho rischiato comunque di centrarlo, difatti viaggiavo attorno ai 4’02” al chilometro dopo una cauta partenza a 4’05”. L’organizzazione è stata perfetta e l’altimetria pressoché nulla.
Dall’inizio dell’anno ho corso appena 397 chilometri (più la maratona d’oggi), di cui 112,5 dal sei al tredici marzo per via di vari lunghi ad alta intensità, perciò non avevo nelle gambe l’allenamento necessario per fare di meglio. Ho faticato, certo, ma meno rispetto ad altre prestazioni dove il tempo finale è stato pressappoco quello d’oggi.
Questi i miei intertempi:
10KM: 40’46”
Mezza maratona: 1h25’14”
30KM: 2h01’08”
Arrivo: 2h56’32”
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Pubblicato mercoledì 15 Marzo 2017 alle 21:05 da
Francesco
Dall'inizio dell'anno ho corso appena 397 chilometri, ma dal sei marzo al tredici ne ho fatti ben 112,5 a un ritmo medio di poco inferiore ai 4'10" al chilometro: per me questi numeri denotano una buona qualità a fronte di una quantità ridotta, almeno per i miei obiettivi.
Quest'oggi mi sono iscritto alla mia nona maratona e vorrei avere qualche chilometro in più nelle gambe per nutrire la certezza di concludere anch'essa sotto le tre ore, però questa volta mi attende un salto nel buio e può darsi che in fondo tale circostanza non mi sia del tutto sgradita. Mi piace la corsa perché mi restituisce ciò che io le do nella solitudine dei miei allenamenti e me ne avvalgo per affermarmi al cospetto di un tempo triplice: quello che m’è dato da vivere, quello col quale mi confronto e quello che forse non ha mai avuto inizio.
Ormai non credo manco più a chi mi dice la verità, ma solo all'asfalto, al sudore e alla fatica. Nell'arco di quest'ultimo lustro ho battagliato lealmente sulle strade di mezza Italia e in alcune occasioni la comunanza dello sforzo mi ha permesso di conoscere dei grandi uomini, mossi dalle ragioni più disparate. Invero talora ho avuto modo di contemplare alcuni culi di donne ai quali mancava solo il dono della parola, ma il più delle volte ho còlto negli occhi e nelle frasi di altri atleti una grande voglia di riscatto, come un fuoco sacro da custodire nel silenzio di quelle notti che durano anche di giorno.
La corsa è quasi una scienza esatta, il margine per l'improvvisazione è pressoché nullo, ma non di rado il cuore e la testa possono decidere le sorti di una gara.
Lunedì ho fatto l'ultimo allenamento importante, 32 chilometri in quel di Grosseto, e conto di metterne altri in cascina benché il tempo stringa e quest'idea possa non essere la migliore.
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Pubblicato martedì 7 Marzo 2017 alle 16:42 da
Francesco
Come altri prima di me, anch’io considero il corpo un tempio, perciò cerco di tenere allenate le mie capacità motorie e psichiche senza l’illusione che possano evitare il decadimento naturale a cui ogni cosa è soggetta: c’è modo e modo di arrivare alla fine, malgrado la sua vicinanza.
Per quanto concerne la memoria procedurale, oltre a suonare un po’ la chitarra elettrica mi avvalgo più che altro del palleggio calcistico, come già esemplificai anni fa nel seguente video: https://www.youtube.com/watch?v=-4aXG4yUAz0
Un altro modesto contributo alla mia neurogenesi lo do con l’esercizio della memoria semantica. Da incostante autodidatta ho ripreso più volte lo studio degli ideogrammi giapponesi, ma in realtà questi sforzi irregolari hanno giovato più alle mie capacità mnemoniche che a una vera padronanza della lingua (pressoché nulla). Al momento conosco circa cinquecento kanji e trovo incredibile come a distanza di tempo mi risulti sempre più facile il recupero completo delle mie conoscenze pregresse. La mente offre piccole meraviglie a chiunque la nutra e non la ottunda.
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Pubblicato venerdì 3 Marzo 2017 alle 10:47 da
Francesco
Non credo che l’evoluzione umana sia un processo lineare benché il resoconto delle puntate precedenti dia quest’impressione. Nell’epoca attuale mi sembra che l’Occidente stia pagando le utopie che cominciò a coltivare dopo la perestrojka. La folle idea che tutti gli esseri umani siano uguali si scontra oggi con le loro differenze e d’altro canto non può essere altrimenti.
Il disagio della civiltà è stato descritto bene da Freud ed è per questo motivo che il costo di certi ideali si traduce in nevrosi di massa: il ritorno del revanscismo in tutto l’Occidente è il chiaro segno del contrasto che sussiste tra un minoritario desiderio di integrare altri popoli e il netto rifiuto per questo melting pot da parte di maggioranze inascoltate. È come se i governi buonisti fossero la coscienza e i popoli, fedeli all’istinto di conservazione, rappresentassero l’inconscio con tutti gli inderogabili segnali che quest’ultimo impone per propria natura.
In tutto ciò io vedo il risveglio di quello che Jung chiamava inconscio collettivo, ovvero un celere ritorno a quell’aspetto tribale delle società antiche che si ripresenta allorché la minaccia è sotto gli occhi di chiunque. V’è una regola aurea che vale tanto nel microcosmo d’ognuno quanto nel macrocosmo: tutti i contenuti che vengono rimossi dalla coscienza sono destinati a riaffiorarvi in seguito con ancor più forza. L’accoglienza indiscriminata, l’assalto al welfare, la costante idea d’ingiustizia che, mutatis mutandis, ricorda quella di un bambino al quale venga imposto un fratello dai genitori, ebbene questo e molto altro concorre a prospettare reazioni sempre più efferate e frequenti da quanti si vedono estorta la cosiddetta solidarietà.
Conosco persone che un tempo non avrebbero fatto manco per scherzo una battuta razzista, oggi invece sembrano dei ferventi nazionalsocialisti, tanto che talora persino nei loro sorrisi si possono intravedere croci uncinate. La storia dell’uomo non inizia nel secondo dopoguerra ed è inutile chiedere a qualcheduno di rinunciare ai suoi archetipi, difatti non potrebbe distaccarsene neanche se lo volesse. Vi sono fieri comunisti d’un tempo che oggi riconoscono tranquillamente l’esistenza non solo di un problema, ma di un vero vulnus legato ai flussi migratori; d’altro canto le categorie novecentesche non hanno più attinenza con la realtà, sono superate, ed è questa la vera uguaglianza degli esseri umani: la loro inclinazione alla sopraffazione di cui anche l’istinto di conservazione è una forma attenuata.
Può darsi che un giorno grazie ai progressi della tecnica le utopie saranno a portata di mano, ma ciò di certo non avverrà mai grazie a quanti, come nel gioco delle tre carte, pretendono di dare dei diritti alle minoranze allogene sottraendoli a chi li ha resi possibili.
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