Domenica ho partecipato alla maratona di Verona, anche se al mio arrivo in città ho temuto che il navigatore mi avesse condotto per sbaglio a Johannesburg. Ora so come si sentono i boeri in Sudafrica. Ovviamente ho cancellato la e-mail di reclamo alla TomTom appena ho capito che non ero giunto in uno di quei posti da cui il Sahel sembra l’Iperborea.
Insomma, mi sono presentato alla partenza scaligera con l’intenzione di abbattere il muro delle due ore e cinquanta minuti. Ho impostato il mio ritmo di poco al di sotto dei quattro minuti al chilometro e per trentacinquemila metri non ho avuto grossi problemi, però negli ultimi sette chilometri ho accusato un calo notevole che si è acuito a duemila metri dall’arrivo.
Sono comunque soddisfatto perché malgrado la crisi ho tagliato il traguardo in 2h56’35": sotto le tre ore mi va sempre bene e questa è l’ottava volta su otto che chiudo così. Il percorso mi è piaciuto e l’ho trovato piuttosto veloce, il pubblico presente è stato partecipe e l’organizzazione mi è parsa ottima. In poco più di un mese e mezzo ho corso tre maratone e una mezza su cui ho stabilito il mio nuovo primato, ma ancora non escludo che possa chiudere l’anno con un’altra gara sulla distanza regina. Sono stato bene in questo periodo d’intensa attività agonistica e non mi hanno pesato né le molte ore di guida né la beata solitudine.
Mezza maratona di Montalto di Castro 2016
Pubblicato giovedì 17 Novembre 2016 alle 19:06 da FrancescoIn questo timido accenno d’un inverno che è ancora lungi dall’arrivare io corro e mi diverto, ma non nego che senta forte il richiamo delle strade anche perché, altrettanto forte, è il silenzio di alcuni aspetti della mia esistenza: taciti anni, mutevoli e muti, ancora si avvicendano a ridosso di prospettive cangianti. Mai una certezza, eccetto la morte!
Assodata la premessa di cui sopra, posso spendere qualche parola sulla mia prestazione senza la paura di altre digressioni. Per me è stata una gara facile e in progressione. Mi sono sorpreso della freschezza muscolare e, sebbene di soli quattro secondi, sono riuscito a migliorare il mio record personale sulla distanza. Ho chiuso al sesto posto su 144 arrivati con 1h18’10” e così ho anche vinto la mia categoria, la B. Ho persino corso centocinquanta metri in più perché, presso un incrocio, ho sbagliato strada, ma fortunatamente me ne sono accorto subito e la mia gara non ne ha risentito affatto; anzi, incazzato per l’errore ho spinto ancora di più e sono riuscito a mantenere un passo medio di 3’42” al chilometro. Il mio è stato un bell’andare!
Credo che questo risultato sia stato figlio delle due maratone sotto le tre ore che ho corso nell’arco di due settimane ottobrine, dunque mi auguro che a sua volta sia propedeutico per un’imminente maratona in cui spero di correre bene e senza troppa fatica. Sono felice quando raccolgo i frutti del mio allenamento e siccome sono il mio allenatore la mia contentezza in casi del genere è sempre doppia. La mia attitudine mischia atletica leggera e solipsismo.
Un paio di settimane fa mi sono recato nel capoluogo della mia provincia per esplorare i già noti antri di un nuovo centro commerciale. Non ho nulla contro il consumismo né contro le cattedrali nel deserto che sono erette in suo nome, difatti io stesso non ne risparmio occasionali visite.
Al contempo deluso e soddisfatto per le asettiche certezze ivi presenti, mi aggiravo solitario e rilassato tra tanti individui ubiqui come me perché, oltre che là, erano anche al centro dei loro microcosmi. A un certo momento del mio vagare ho deciso di unire l’utile al dilettevole, perciò sono entrato nell’ipermercato del posto per fare un po’ di spesa. L’imbarazzo della scelta non mi ha messo a disagio perché là come altrove sapevo cosa volevo e quindi non ci ho messo poi tanto a orientarmi. Verso la fine delle mie compere sono entrato in una delle ultime corsie per afferrare poche cose da uno scaffale, ma appena ho girato l’angolo mi sono trovato a fissare la nuca di un altro cliente e quando questi si è voltato ho distolto lo sguardo da lui perché aveva il viso sfigurato, come se fosse rimasto vittima di un grave incidente.
Non so per quale dannata ragione la mia vista sia andata a posarsi sulla nuca di quel tizio, ma quando lui si è girato può avere avuto l’impressione che io stessi osservando la sua faccia con disgusto: me ne sono dispiaciuto sùbito e avrei tanto voluto fargli sapere che non era così. Purtroppo ci sono delle circostanze in cui non si può proferire parola poiché il solo fatto di dire qualcosa ha un’alta probabilità che sembri una giustificazione: excusatio non petita accusatio manifesta! Insomma, avrei peggiorato le cose se avessi provato a discolparmi di qualcosa che forse, alla fine, ha turbato solamente il sottoscritto.
Ho pensato a quante volte quell’uomo abbia dovuto affrontare gli sguardi tutt’altro che teneri delle persone e mi sono chiesto se avesse incluso anche il mio in quella mesta somma. Questa circostanza mi ha fatto sentire impotente perché non sono rare le situazioni in cui le parole non possono sobbarcarsi il peso della verità, ovvero occasioni nelle quali le parole dimostrano tutta la loro inettitudine, ma d’altronde quali valide alternative esistono? L’incomunicabilità è davvero frustrante e frequente. Non mi preoccupo granché delle opinioni altrui, però non mi va giù che qualcuno possa sentirsi offeso da me senza che io abbia inteso farlo deliberatamente. Non so chi fosse quell’uomo e, ormai, spero di non rivederlo mai più, ma solo per non ripetere lo stesso errore! Gli auguro tutto il bene del mondo.
Repubblicani di tutto il mondo, unitevi! Make America Great Again!
Mi reputo filoamericano da sempre e per me gli Stati Uniti sono un modello da imitare, perciò speravo in una vittoria di Donald Trump ancorché questa alla vigilia delle elezioni fosse alquanto improbabile. Il commento più bello che ho letto è il seguente: “Brexit carbon copy”.
Stanotte ho iniziato a seguire le dirette televisive con una forte disillusione, ma tutt’a un tratto i miei occhi hanno cominciato a colmarsi di gioia. Appena le nobili terre dell’Ohio e della Florida si sono fatte repubblicane mi sono chiesto se stessi sognando o se fossi desto. Stentavo davvero a credere ai dati che calmi e placidi passavano sovrimpressione, perciò ho cercato di capire se invece di una proiezione elettorale io non stessi assistendo a una proiezione onirica.
Per assicurami del mio stato di veglia ho tirato fuori “Alchemy Live” dei Dire Straits e ho messo in repeat “Sultans Of Swing”, poi ho cominciato a muovermi scompostamente per la stanza come se fossi stato in preda al tarantismo; mi sono anche fatto una sega che comunque mi sarei fatto a prescindere dallo stato di eccitazione, poi ho continuato a ballare fuori tempo come farebbe un epilettico se avesse una crisi a un concerto degli Earth, Wind & Fire.
Già avevo deciso nella mia vita di non avere figli, ma ora ne sono ancor più convinto perché mi chiedo come la paternità possa anche solo accennare una gioia più grande di questa.
Non so quale cazzo di direzione prenderà il mondo, ma questo voto dimostra che l’Occidente è ancora fedele a se stesso e mi auguro che tutto ciò echeggi anche nella Vecchia Europa.
Sembra che le favolette del razzismo e del sessismo non abbiano avuto presa su una parte dell’elettorato, difatti Trump ha ricevuto preferenze anche dalle minoranze etniche: strano eh? Voglio che governino uomini con le palle di acciaio, che non abbiano paura di dire parole fuori posto e i cui errori non siano dettati dalla malafede, ma da quella condanna alla perfettibilità che è propria della gente comune. Affermare le identità nazionali e salvaguardarne l’eredità non sono propositi che scadono necessariamente nella xenofobia o nella becera ignoranza di cui tanti illuminati del cazzo tacciano chiunque la pensi diversamente da loro, bensì costituiscono un diverso modus operandi per dettare quei cambiamenti da cui la storia non si può esimere.
Un caro pensiero a forma di dito medio per tutti i sondaggisti del cazzo, per i socialisti che vogliono affossare il sogno americano e per ogni altezzoso figlio di puttana che è sordo alle istanze del volgo, senza che per una volta questo termine abbia una sfumatura negativa.
Ci sono aspetti della mia esistenza che sono del tutto immutati, come se non fossero passibili di cambiamento, ma d’altronde accade anche che non accada nulla: è nell’ordine delle cose.
Mi trovo a distanze siderali da chiunque e non so neppure come mi sia allontanato così tanto da miriadi di possibilità, tuttavia non escludo che la spinta necessaria mi sia pervenuta dalla forza dell’abitudine. Alla stasi d’una parte di me corrisponde l’indefesso incedere in avanti di un’altra ed è dunque del tutto normale che io, di quando in quando, avverta le sporadiche lacerazioni di queste tendenze opposte, però cerco di fare il possibile affinché la mia sola volontà ricucia ogni strappo. Da una certa prospettiva il mio futuro presenta l’esatta forma e gli stessi colori del mio passato, tuttavia ci sono anche dei tratti che posso ridisegnare a mano libera ed è proprio per questi che voglio trarre il meglio dal mio arbitrio. Non ho alleati né nemici, non posso contare su dei testimoni né su dita accusatorie che non siano quelle della mia coscienza, ma difficilmente darò a quest’ultima ragioni di riprovazione.
Mi sento alla vigilia di un’ulteriore evoluzione, come se dopo anni in rada fossi di nuovo pronto per imbarcarmi in un’odissea introspettiva, tuttavia sono certo che questa fase di transizione mi condurrà a un isolamento ancora maggiore. Devo ripartire dal punto in cui sono arrivato, ovvero dove non vi sono stati altri attracchi e soggiorni che non fossero i miei. Non ho idea di quale sia lo scopo ultimo di tutto ciò né tanto meno se ne abbia davvero uno, ma ho bisogno di viaggiare con la mente e intendo farlo con delle tecniche di meditazione. Nel mio vago, incerto e disunito solipsismo trovo comunque sufficienti elementi per imbastire il minimo indispensabile di quanto mi occorre al momento. È con vivo entusiasmo che lascio gli ormeggi e le speranze per salpare a vele spiegate ma senza altre spiegazioni.