27
Set

Un paio di Adelphi

Pubblicato martedì 27 Settembre 2016 alle 20:43 da Francesco

A pagina centoventicinque de “La morte del sole” di Manlio Sgalambro è scritto quanto segue: “Noi non siamo figli del piacere dei nostri genitori, ma della loro ignoranza del piacere”.
In questo breve passaggio ho trovato una sintesi perfetta di cui ero in cerca da tempo e che io stesso non sono mai riuscito a coniare con altrettanta efficacia.
Nietzsche scrisse “La nascita della tragedia”, io invece potrei intitolare il mio prossimo saggio “La tragedia della nascita” perché è così che considero qualsiasi aborto mancato.
Quando mi complimento per un nuovo nato lo faccio solo come gesto pro forma, giusto per non aprire delle parentesi antipatiche in contesti inadeguati, ma spesso riesco a scongiurare anche questa finzione.
Non scado in facili stereotipi ed è per tale ragione che da qualche parte (ancora in itinere) io affermo: “La vita vale la pena di essere vissuta, ma non data”.
Non ho mai trovato un testo di Sgalambro nel quale vi fossero derive consolatorie ed è proprio un altro passaggio de “La morte del sole” che mantiene la barra dritta: “Se si dà il vero non si dà il bene, perché il bene riempie il vuoto della verità; non appena però il vero appare, il bene non ne sopporta la vista. Questo dileguarsi del bene davanti al vero è il pessimismo”.
Il testo di Emanuele Severino invece ha un taglio più accademico, eminentemente filosofico ed è anche lettura difficile per le continue astrazioni che ne richiede la sua piena comprensione; non è possibile scriverne neanche due righe poiché a mio avviso si presta poco a qualsiasi genere di accenno: o tutto o niente. Per chi ama Heidegger (magari prendendo la rincorsa da Parmenide) con Severino si trova a casa (o quasi).

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25
Set

Pourparler

Pubblicato domenica 25 Settembre 2016 alle 00:06 da Francesco

Nelle ultime due settimane mi sono allenato molto perché a breve correrò una nuova maratona e mi auguro che io sappia ancora interpretare bene i quarantadue chilometri.
Da un po’ di tempo a questa parte ho ritrovato una certa cattiveria nelle mie corse e in ragione di un simile stato d’animo riesco a tollerare meglio gli sforzi della preparazione agonistica, però non è tutto oro ciò che luccica. Mi sento distante da ogni cosa meno che da me stesso e forse dovrei felicitarmene, ma vivo mancanze congenite i cui vuoti non riuscirò mai a considerare miei. Sono stato a un passo da conoscere ciò che non ho mai conosciuto, ma il corso degli eventi ha compiuto deviazioni improvvise e alla fine mi sono ritrovato di nuovo nella mia oasi : c’est la vie. Non conosco un porto sicuro in cui attraccare col mio bagaglio di esperienze e quando non sono nel deserto navigo in alto mare, però non me la passo affatto male. Mi nutro di letture e dischi a cui non posso obiettare nulla mentre i mondi altrui collassano perché il presente e il futuro si incrociano come se la Via Lattea e la galassia di Andromeda fossero già arrivate ai ferri corti.
Dal canto mio non ho granché da dire: ognuno fa quello che può con ciò che ha. Vorrei dare più umanità alla mia esistenza, però attorno a me ci sono scarsi appigli e quei pochi che sono alla mia portata hanno tutta l’aria di un distacco imminente. Non posso gettare ponti, tanto meno compiere allunaggi, ma forse più avanti, là dove non sono mai stato, potrei trovare circostanze migliori: altrove si trovano da sempre possibilità inesplorate e mi chiedo se un giorno sarò io a darne conto come un cartografo. Ogni tanto anch’io mi chiedo se esistano altre forme di vita e di rado colloco questa domanda al di fuori dell’esosfera. Mi considero uno dei tanti, così come tanti considerano me e a mia volta io loro, ma in tali pleonasmi c’è più di quanto la soggiacente indifferenza lasci intuire. Sono ancora in possesso di un certo entusiasmo e mi faccio latore dei messaggi che la realtà mi spedisce senza ricevuta di ritorno.

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10
Set

Giorni che se ne vanno, altri che vengono

Pubblicato sabato 10 Settembre 2016 alle 15:33 da Francesco

L'estate sta per volgere al termine e presto il sole scalderà con meno vigore l'emisfero boreale. L'autunno mi rincuora anche se lo considero il mesto fratello della primavera. Esistono stagioni che non conosco perché non ho mai compiuto un moto di rotazione attorno all'asse cardiaco né con un moto di rivoluzione ho mai tracciato un'orbita intorno a una figura muliebre.
Campo tra la pace e il disincanto, in una zona di confine dove le giornate scorrono lente e in cui le mie abitudini si ripetono senza incontrare ostacoli né incroci. Il tempo fa il suo corso ed erode ogni cosa o forse di più. Mi racconto a me stesso per mantenere vivo un dialogo interiore che è la mia ancora di salvezza e il mio vessillo da quando sono entrato nell'età della ragione: non avverto obblighi di chiarezza che verso la mia immagine riflessa e al contempo mi chiedo se una tale affermazione sappia condurre il suo vero significato, non quello d'apparente egocentrismo. La vaghezza di questo brevissimo scritto si perde in sé come tanto va perso nel Mar Tirreno.


Spiaggia Lunga, Monte Argentario (mia foto tardo agostana)

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